Chi ama i libri di Andrea Camilleri o la serie Tv del commissario Montalbano, a essi ispirata, non può non

Arancini siciliani (foto tratta da Pixabay). In copertina, un’immagine da Wikimedia Commons.

ricordare l’amore del personaggio principale di questa saga letteraria per gli arancini (o arancine): una gustosissima “palla” di riso impanata e fritta. Un piatto della tradizione siciliana, adatto a essere gustato come cibo da strada, antipasto, primo o piatto unico. Una pietanza ipercalorica (soprattutto a causa della frittura) che sarebbe da consumare in inverno e, secondo la tradizione, soprattutto nel giorno di Santa Lucia, il 13 dicembre. Perché?

Iniziamo a dire che la storia degli arancini siciliani risale alla dominazione araba della Sicilia: dall’827, data dello sbarco a Mazara del Vallo, al 1091 con la caduta di Noto. Gli arabi avevano l’abitudine di mettere al centro della tavola un grande piatto di riso. Con le mani attingevano da esso e condivano la manciata di riso con una sorta di ragù di carne d’agnello e verdure. Secondo la leggenda sarebbe stato l’emiro Ibn Al Thumna (un personaggio politico molto importante nella Sicilia dell’anno mille) a dare una maggiore eleganza a questo modo di mangiare, inventando il timballo di riso e aromatizzandolo allo zafferano. Invece, è storia che la dominazione musulmana dell’Isola abbia portato tante influenze sul cibo: dalla cassata alla granita e ai cannoli, fino al cous cous di pesce alla trapanese e alla caponata. Tralasciamo di citare l’influenza che gli arabi ebbero su architettura, agronomia, poesia e lingua. Temi che meritano una trattazione specifica che non ci compete.

Federico II di Svevia (Wikipedia).

Sempre secondo la leggenda, un passo avanti verso i moderni arancini, dopo il timballo di riso di Ibn Al Thumna, si fece con Federico II di Svevia, i cui cuochi inventarono la panatura. Pare che questo poliedrico re e imperatore (fu definito “Stupor Mundi” dai contemporanei), amasse a tal punto questo cibo da volerlo sempre con sé, in battaglia o durante le battute di caccia. Così i suoi “chef” (siamo nel tredicesimo secolo), pensarono alla panatura, un artifizio che lo rendeva più facile da trasportare e ne garantiva una più lunga conservazione. L’introduzione del pomodoro avvenne, invece, dopo la scoperta delle americhe e, con il tempo, questo sarebbe poi stato utilizzato per preparare il ragù.

I siciliani hanno continuato a gustare gli arancini di riso per secoli, variandone leggermente la ricetta e la forma a seconda del luogo in cui venivano cucinati. Esiste persino una disputa sul fatto che debbano essere chiamati “arancini” o “arancine” di riso. Nella Sicilia occidentale, sotto l’influenza di Palermo, si chiamano arancine di riso, sono allo zafferano e hanno una forma tonda. Nella parte orientale dell’Isola, influenzata da Catania, si dicono arancini, contengono riso bianco e la forma è più allungata, un po’ a pera. L’eterna disputa fra Palermo e Catania su quale sia delle due la città più importante della Sicilia, non fa che rinfocolare la polemica.

Tornando alla tradizione del 13 dicembre, questa riguarda il culto di Santa Lucia. Si narra che nel 1646 la città di Siracusa, paese natale di Lucia, fosse stata colpita da una grave carestia. Nel momento di maggiore crisi, con la gente che moriva di fame per strada, le preghiere rivolte alla Santa avrebbero portato all’arrivo di una nave carica di

Il ritratto di Santa Lucia che si trova nel duomo di Siracusa (Wikimedia Commons).

frumento. I siracusani, affamatissimi, non aspettarono di trasformarlo in farina ma lo bollirono direttamente in acqua, trasformandolo in quella che poi sarebbe diventata un’altra ricetta tipica della cucina siciliana, la cuccìa. Da quel giorno, il 13 dicembre, chi è devoto alla Santa non mangia cibo a base di farina ma, appunto, cuccìa, arancini e panelle (frittelle di farina di ceci).

Gli arancini di riso, come le lasagne, delle quali abbiamo parlato un paio di mesi fa, rappresentano una sfida culinaria piuttosto impegnativa proprio perché ci si confronta con una tradizione millenaria e tante varianti (c’è chi ne conta più di cento: ai funghi, con salsiccia, al pistacchio di Bronte, alle melanzane, al pollo, al pesce spada, al salmone, alla besciamella e prosciutto cotto…). La ricetta che vi proponiamo si avvicina a quella classica palermitana.

Ingredienti per circa 10 arancini.

Per il riso: 500 grammi di riso carnaroli o vialone nano; 70 grammi di burro; due bustine di zafferano; sale.

Per il ragù di carne: 150 grammi di carne macinata di maiale; 50 grammi di carne macinata di bovino; un pezzetto di sedano; mezza cipolla; mezza carota; tre chiodi di garofano, due foglie d’alloro; 200 ml di passata di pomodoro; tre cucchiai di olio extravergine; un etto di piselli; sale; mezzo bicchiere di vino bianco; un etto di caciocavallo da grattugiare.

Per la panatura: otto cucchiai di farina doppio zero (o di più se serve); acqua quanto basta; pan grattato.

 

Procedimento: Bollite il riso in acqua abbondante e sale; quando è cotto al dente, scolate e mantecate con zafferano e burro fino a ottenere un composto ben amalgamato. Poi trasferitelo in una teglia molto larga in modo che si possa raffreddare in maniera uniforme.

Per quello che riguarda il ragù di carne e piselli, tritate finemente carota, sedano e cipolla, soffriggeteli nell’olio, aggiungete le carni macinate e rosolate per un minuto sfumando con il vino. Dopo che il soffritto si sarà asciugato, versate la passata, i chiodi di garofano e l’alloro. Coprite con un coperchio e lasciate cuocere per un’oretta a fiamma bassa. Il ragù dovrà essere molto denso, dunque regolatevi di conseguenza. Aggiungete i pisellini e lasciate sulla fiamma per un quarto d’ora. A questo punto, eliminate chiodi di garofano e alloro, lasciate raffreddare per mezz’ora e aggiungete il caciocavallo grattugiato, salate e lasciate raffreddare.

A questo punto dovete formare gli arancini ma, prima di farlo, assicuratevi che riso e ragù siano assolutamente freddi. Prelevate un pugno di riso e, con l’altra mano, scavate un buco nel quale metterete due cucchiai di ragù e poi coprite con altro riso e modellate fino a far prendere la forma perfettamente tonda o leggermente allungata, a seconda del vostro gusto. Ripetete l’operazione fino a che sarà possibile.

Passiamo ora alla panatura e alla frittura.

In una ciotola con bordi alti mettete la farina e versate qualche cucchiaio di acqua per creare una pastella densa. Immergete l’arancino e fate in modo che venga ricoperto da tutta la pastella. Passatelo poi nel pane grattato ritoccando la forma se si è un po’ persa. Friggete per circa due minuti in un pentolino con i bordi alti in abbondante olio di semi a 180 gradi. Due o tre arancini al massimo alla volta. Quando hanno raggiunto una doratura perfetta, scolateli sulla carta assorbente.