Oggi il simbolo pop della romanità buona e caciarona è probabilmente Carlo Verdone. Un tempo lo furono senz’altro gli attori Alberto Sordi e Aldo Fabrizi (al secolo, Aldo Fabbrizi, con due b). A noi interessa soprattutto la figura di quest’ultimo perché, oltre ad essere un romano verace, era anche simpaticamente vorace e un grande cultore della cucina romana e della pasta in primis, tanto da dedicare a questa dei divertenti sonetti in romanesco. Senza dubbio la gastronomia era una passione familiare: la sorella Elena Fabrizi, anche lei attrice, aprì il famoso ristorante “Sora Lella” sull’Isola Tiberina, nel cuore di Roma, dove effettivamente lei cucinava, spesso spalleggiata dal fratello.

Qui e in copertina, Aldo Fabrizi nei panni di don Pietro nel capolavoro neorealista di Roberto Rossellini “Roma Città Aperta”. Foto da wikipedia.org

Fabrizi attore è ricordato per alcune interpretazioni magistrali: il sacerdote don Pietro nel capolavoro neorealista “Roma Città Aperta” di Roberto Rossellini (1945); tutti i film nei quali fece da spalla a Totò e tra questi i celeberrimi “Guardie e Ladri” (1951) e “I Tartassati” del 1959. A teatro, nelle edizioni del 1962 e del 1963, è stato il più grande di tutti i “Mastro Titta” nel “Rugantino” di Garinei e Giovannini. Fabrizi stornellatore di bontà culinarie è altrettanto interessante. Tre sono le raccolte in versi dedicate al cibo: “La pastasciutta. Ricette nuove e considerazioni in versi”, (Milano, A. Mondadori, 1970); “Nonna minestra. Ricette e considerazioni in versi” (Milano, A. Mondadori, 1974). “Nonno pane. Ricette e considerazioni in versi” (Milano, A. Mondadori, 1980).

In queste raccolte, alcuni componimenti spiccano per simpatia e genialità. Molto divertente, ad esempio, è il sonetto intitolato “La Matriciana” del 1974.

Un piatto di bucatini all’Amatriciana. Foto di Monica, tratta da flickr.com.

Soffriggete in padella staggionata,

cipolla, ojo, zenzero infocato,

mezz’etto de guanciale affumicato

e mezzo de pancetta arotolata.

Ar punto che ‘sta robba è rosolata,

schizzatela d’aceto profumato

e a fiamma viva, quanno è svaporato,

mettete la conserva concentrata.

Appresso er dado che jè dà sapore,

li pommidori freschi San Marzano,

co’ un ciuffo de basilico pe’ odore.

E ammalappena er sugo fa l’occhietti,

assieme a pecorino e parmigiano,

conditece de prescia li spaghetti.

 

Panzanella alla romana.

Un componimento che recitò anche davanti alle telecamere della tv fu quello sulla panzanella, un tipico piatto romano che si prepara prendendo il pane raffermo; bagnandolo per ammorbidirlo e poi condendolo con olio, aceto, pomodori, basilico e pepe. Si tratta di un piatto molto semplice e povero, figlio della cucina anti spreco che tanto era in voga prima degli anni del benessere diffuso:

E che ce vo’

pe’ fa’ la Panzanella?

Nun è ch’er condimento sia un segreto,

oppure è stabbilito da un decreto,

però la qualità dev’esse quella.

In primise: acqua fresca de cannella,

in secondise: ojo d’uliveto,

e come terzo: quer di-vino aceto

che fa’ venì la febbre magnarella.

Pagnotta paesana un po’ intostata,

cotta all’antica,co’ la crosta scura,

bagnata fino a che nun s’è ammollata.

In più, per un boccone da signori,

abbasta rifinì la svojatura

co’ basilico, pepe e pommidori.

 

Gli ultimi anni di vita di Aldo Fabrizi furono tristi dal punto di vista culinario perché, per motivi di salute, fu costretto

a mettersi a dieta. E proprio “La Dieta” si intitola un suo componimento nel quale si chiede se veramente valga la pena di vivere senza poter gustare del buon cibo, o se non sia meglio morire con la forchetta in mano.

Doppo che ho rinnegato pasta e pane,

so’ dieci giorni che nun calo, eppure

resisto, soffro e seguito le cure…

me pare ‘n anno e so’ du’ settimane.

Nemmanco dormo più, le notti sane,

pe’ damme er conciabbocca a le torture,

le passo a immagina’ le svojature

co’ la lingua de fòra come un cane.

Ma vale poi la pena de soffrì

lontano da ‘na tavola e ‘na sedia

pensanno che se deve da morì?

Nun è pe’ fa’ er fanatico romano;

però de fronte a ‘sto campa’ d’inedia,

mejo morì co’ la forchetta in mano!

 

Aldo Fabrizi morì a Roma il 2 aprile del 1990. L’epitaffio che scelse per la sua tomba fu: “Tolto da questo mondo, troppo al dente”.