Dall’hotel Doge a Gradara. Un giro cicloturistico breve (poco più di trenta chilometri fra andata e ritorno) e facile perché tutto pianeggiante o con piccole pendenze tranne che per l’ultimo tratto che porta alle mura della città antica, ma molto interessante dal punto di vista storico-culturale. La piccola cittadina medievale (4900 abitanti), è nota per essere stata la sede dell’ultimo incontro fra Paolo e Francesca, i due amanti resi universalmente noti da Dante Alighieri che descrisse il loro amore nel quinto canto dell’Inferno.

Partendo dal nostro hotel, prendete la ciclabile che costeggia il lungomare in direzione di Misano Adriatico e continuate in direzione sud fino a Misano Adriatico, Portoverde e poi Cattolica. Approfittatene per percorrere le strade della “Regina” (così è chiamata Cattolica) che costeggiano il mare fino a incrociare via Verdi che prenderete sterzando a destra, lasciandovi il mare alle spalle. Dopo un po’ andate su via Boccaccio alla vostra destra e poi girate a sinistra in via Viola e poi ancora a destra in via Bandiera. Questa termina in una rotonda che vi immette in via Garibaldi. Prendetela alla vostra sinistra e dopo poche pedalate avrete superato il confine regionale: siete nelle Marche. Via

La Rocca di Gradara (foto wikimedia commons). La copertina è tratta da pixabay.com.

Garibaldi diventa via Romagna. Abbandonatela quando sulla vostra destra trovate via Zandonai. Prendete quest’ultima e poi imboccate via del Mercato che sbuca, andando a destra, su via Aldo Moro. Percorretela fino all’incrocio con Strada Ferrata che prenderete andando a sinistra. Questa vi permetterà di attraversare la Statale 16 e poi, immettendosi in via Francesca da Rimini, di superare anche l’Autostrada A14. A questo punto vi sarà sufficiente seguire i cartelli che indicano la direzione per Gradara per arrivare, dopo pochi chilometri, alla meta del nostro breve viaggio. Come detto, l’ultimo tratto, quello che porta al borgo medievale, è una breve ma ripida salita che porta ai 76 metri sul livello del mare del borgo antico. Praticamente un piccolo muro di una classica del nord del ciclismo.

Arrivati nel borgo antico, troverete tante cose interessanti da fare. La più “classica” e importante è visitare il Castello Malatestiano. Questa rocca fu edificata nel 1150. Pensata come struttura puramente difensiva e militare, divenne nel corso del tempo anche una dimora nella quale i Malatesta prima e i Montefeltro poi amavano passare del tempo. Tant’è che gli ambienti interni sono molto eleganti, abbelliti da opere d’arte preziose come il dipinto “La Battaglia” di Amico Aspertini; la Pala di terracotta realizzata da Andrea della Robbia e la pala d’altare di Giovanni Santi, il padre del grande Raffaello Sanzio.

Secondo la leggenda, fu questo il Castello nel quale trovarono la morte Paolo Malatesta e Francesca da Polenta, sorpresi da Gianciotto Malatesta, marito di lei e fratello di lui, che li accoltellò dopo averli sorpresi in atteggiamenti intimi. Pensate che si può visitare la camera di Francesca, dove si trova la botola che, sempre secondo la leggenda, Paolo utilizzava per raggiungerla. Ma da vedere non c’è solo il castello. Anche la cinta muraria lunga ottocento metri, con quattordici torri quadrate, merita di essere percorsa; così com’è bene fermarsi a dare un’occhiata alla torre dell’orologio, un arco a tutto sesto sovrastato da una torre quadrata decorata con gli stemmi dei Montefeltro, degli Sforza e dei Malatesta. E’ la porta che immette nel borgo antico.

Un dipinto del pittore franco-olandese Ary Scheffer che vede Paolo e Francesca appalesarsi a Dante e Virgilio nell’inferno.

Non potete finire vostra ciclopasseggiata senza fermarvi in uno dei tanti e buoni ristoranti del centro storico. La cucina gradarese è molto simile a quella romagnola trovandosi, la cittadina, quasi a cavallo fra le due regioni. Tuttavia, un piatto particolare che potrete gustare solo qui o, più raramente, nei paesini delle vallate del Conca e del Foglia c’è: i tagliolini con la bomba. Delio Bischi, veterinario di Piobbico in provincia di Pesaro e Urbino e studioso delle tradizioni locali, così descriveva i tajulin sa’ l sgagg (sgagg, nel dialetto del luogo significa “rumoroso”) nel suo “La civiltà contadina nelle tre valli (Metauro, Foglia, Conca)”, edito dall’Enohobby di Gradara nel 1980:

Negli enormi camini delle case di campagna, nel periodo invernale, c’è sempre il fuoco acceso e, appeso alla catena, il caldaio in rame, è sempre quasi pieno d’acqua ad elevata temperatura. A mezzogiorno “l’azdora” mette del sale nell’acqua ed aumenta il fuoco sotto il caldaio, poi si accinge a fare la sfoglia con farina e acqua. La sfoglia, non tirata tanto sottile (tre o quattro millimetri di spessore) viene tagliata a fettuccine sottili, ottenendo dei tagliolini a sezione quadrata. Quando l’acqua nel caldaio bolle, butta dentro i tagliolini e contemporaneamente “l’azdora” su dei carboni accesi, in un tegamino di terracotta, fa soffriggere dei cubettini di lardo o di pancetta grassa e quando questi sono rosolati, i tagliolini nel caldaio hanno raggiunto la cottura. L’”azdora” scopre il caldaio e versa il contenuto del tegamino sui tagliolini bollenti. Il lardo (o pancetta) bollente a contatto dell’acqua, pure bollente, produce una esplosione di vapore (“bomba”). Poco dopo, circa un minuto, tira giù il caldaio e tutto il contenuto, amalgamato, lo versa nelle terrine o pentoloni in terracotta e lo serve a tavola. Non si sa per qual motivo (dicono oggi) è un piatto che veniva mangiato bollente: forse, con la fame che

Una veduta dal muro di cinta di Gradara (foto di Matteo Panara da unsplash.com).

avevano in corpo, speravano di prenderne ancora un piatto, prima degli altri e prima che finissero. Si dice che i ragazzi di allora avessero il naso sempre spellato, perchè affamati e per poterne mangiare un secondo piatto, mangiavano col risucchio e talmente in fretta che i tagliolini, nello svincolarsi dal piatto, sbattevano bollenti sul naso, producendo delle scottature che difficilmente riuscivano a guarire, perché il piatto in parola veniva mangiato quasi tutti i giorni, e quindi le ferite non facevano in tempo a rimarginare. A proposito del risucchio raccontano che i componenti (ben 19) della famiglia di Martnett, che abitava in una casa colonica a pochi metri dalla ferrovia, un giorno, mentre erano a tavola a mangiare i tagliolini con la bomba al risucchio, non hanno sentito passare il diretto Bologna-Ancona delle ore 12,30, dal gran fragore prodotto dal risucchio.

Insomma, avete più di qualche motivo per pedalare fino a Gradara: cultura, storia, leggende amorose e… tagliolini con la bomba.