La cucina romana a noi piace perché nasce povera e semplice, dalla cultura e dalle necessità contadine, mescolandosi con le tradizioni dei paesi limitrofi e con le culture arrivate nella città eterna. E non ha mai tradito queste sue origini. Il risultato è stato che, grazie a tanti bravi cuochi e ristoratori della capitale, alcuni piatti sono entrati nella storia, se non nella leggenda: l’abbacchio; i carciofi alla Giudia; la trippa; la pasta alla gricia e tanti altri ancora. Quando intendiamo culture provenienti da altri luoghi, intendiamo quella ebraica e

Pasta alla gricia. Foto di Evan Kalman da lobsterfrommaine.com. In copertina, una coda alla vaccinara. Foto di Shu Tu da flickr.com.

quella spagnola. Durante il Rinascimento arrivarono a Roma molti spagnoli di religione ebraica mentre risale addirittura al secondo secolo prima di Cristo la presenza di una comunità ebraica praticamente autoctona. Un quartiere romano particolarmente importante in chiave culinaria fu, e lo è ancora, il Testaccio. Lì fu inaugurato il mattatoio cittadino nel 1891 e da lì nasce la tradizione dell’utilizzo del quinto quarto, un insieme di frattaglie che hanno dato vita a piatti come la trippa, le animelle e la coda alla vaccinara. Tolta la carbonara, che noi sappiamo essere nata a Riccione e poi diventata patrimonio della cucina romana, vediamo di capire quali sono alcuni dei piatti “emblematici” della città “caput mundi”.

La pasta alla gricia

I romani la considerano l’antenata dell’amatriciana (nata ad Amatrice). E’ un piatto molto calorico e saporito, dalla preparazione semplice: alla base ci sono i rigatoni, il guanciale, il pecorino romano e il sale. La teoria sul nome prevede due ipotesi: che il nome derivi dai Grici, i panettieri della Svizzera e di alcune zone della Germania che erano immigrati a Roma gia nel 400 dopo Cristo e preparavano piatti semplici in poco tempo; oppure che derivi da Grisciano, un paese vicino ad Amatrice i cui pastori avevano sottomano tutti gli ingredienti necessari per preparare, appunto, una gricia.

I carciofi alla Giudìa

Alla base di questa ricetta c’è una frittura croccante dei carciofi, che li trasforma in vere e proprie “patatine”. Questa preparazione ha origine nelle antiche osterie romane, ovviamente nella zona del ghetto ebraico. La ricetta originale prevede l’utilizzo del carciofo romanesco, una particolare varietà di verdura che viene coltivata tra Ladispoli e Civitavecchia, che non presenta spine e per questo può essere mangiato interamente.

L’abbacchio

Abbacchio. Foto di Tommaso Passi da commons.wikimedia.org.

L’abbacchio è sicuramente fra i piatti tipici di Roma più conosciuti. Questo ingrediente è protagonista di moltissime ricette dai sapori decisi o delicati. L’abbacchio può essere definito come un agnello macellato giovanissimo, in modo da ottenere una carne molto tenera e rosata. È uno dei prodotti più genuini e tradizionali di Roma capitale nonché della regione e viene impiegato nella ricetta classica in accompagnamento con delle patate a tocchetti e cucinato spesso alla scottadito. Una curiosità sull’abbacchio è l’origine del nome che ha diverse teorie, tra cui il modo di dire popolano “abbacchiare” inteso come abbattere o uccidere con il bastone.

La coda alla vaccinara

La coda alla vaccinara è un piatto della tradizione culinaria romana più povera. Questa preparazione, infatti, proviene dai conciapelli e vaccinari del Rione Regola, sulla sinistra del fiume Tevere, soprannominati anche “magnacode” per l’usanza di spellare, tagliare e bollire la coda dell’animale per mangiarla. Alla base di questo piatto c’è la coda di bue, che richiede tempi di cottura molto lunghi e il fuoco basso. Spesso viene cotta con il trito di verdure e i pomodori pelati.

Il quinto quarto

Alla base di questa preparazione ci sono le frattaglie, cioè la parte interna dell’animale. Secondo la tradizione, queste parti dell’animale erano considerate le meno nobili e quindi venivano consumate da coloro che non potevano permettersi le parti più pregiate della carne. Il nome deriva dall’esclusione delle frattaglie nella divisione dei quattro tagli della carne (anteriori e posteriori). Il quinto quarto include moltissime parti dell’animale: dai polmoni al cuore, dai rognoni alla trippa, dal fegato alla milza, dalle animelle all’intestino, dalle zampe alla coda, dalla lingua ai testicoli.

La trippa romana

Parlando di frattaglie, non si può non ricordare la trippa romana. Questo piatto di carne ha sapori molto

Un piatto di supplì. Foto di FrederikBianko da commons.wikimedia.org.

decisi e profumi intensi. La ricetta originale prevede l’utilizzo della trippa, del pecorino romano, del guanciale, di sedano, carota e cipolla, di vino bianco, della polpa di pomodoro, della menta, del pepe nero e dell’aglio. È uno dei piatti più complessi della tradizione romana, in particolare per la fase di pulizia che determina il sapore del piatto.

Supplì

Alla base del supplì c’è l’utilizzo del riso come per gli arancini siciliani, ma al suo interno sono presenti ragù e mozzarella. I supplì, una volta composti sono immersi nell’uovo, passati nel pangrattato e fritti. La leggenda racconta che il termine supplì derivi dal francese surprise. A quanto si favoleggia, un soldato napoleonico, trovatosi a passeggiare per le vie di Roma, gustando la polpetta di riso appena fritta, definì la mozzarella nascosta al suo interno una vera e propria surprise, una sorpresa.