“Aggiungiamo un pizzico di sale?”. “Mi passi il sale, per favore?”. La stragrande maggioranza

Le saline di Trapani (foto Wikipedia). In copertina, una foto di Anna Sulencka per Pixabay.

dei prodotti, dei cibi e dei piatti dei quali trattiamo in questo blog, non avrebbe lo stesso gusto e la stessa piacevolezza al palato se non fosse accompagnata da questo condimento: il sale.

Quando questo ingrediente ha incominciato ad avere a che fare col cibo? Da quando gli uomini (siamo nel Neolitico, dunque dal 10mila avanti Cristo), passano dall’essere nomadi cacciatori a sistemarsi come stanziali agricoltori. In questo periodo si avverte la necessità di dover conservare gli alimenti per lunghi periodi di tempo e si scopre che il sale ha questa caratteristica, soprattutto riguardo alla carne e al pesce. Da quel momento la sua storia è un successo. Viene utilizzato in tutto il mondo per la conservazione e per aggiungere sapore agli alimenti. I Romani lo definiscono “l’oro bianco” e, per commerciarlo al meglio, ammodernano la via Salaria (costruita in precedenza dai Sabini) che collegava le saline marchigiane sul mare Adriatico a quelle di Ostia sul Tirreno.

Nel tempo, il sale assume un valore altissimo, paragonabile a quello del petrolio di oggi. Si scatenano guerre e scontri sociali per il suo controllo. Si pensi alle tensioni fra lo Stato Pontificio e la Repubblica di Venezia per le saline di Cervia o alla famosa “marcia del sale” di Gandhi per far togliere la tassa su questo prodotto perché danneggiava gli strati più poveri della popolazione indiana. E ricordiamoci che l’Italia abolì la tassazione sull’importazione del sale solo nel 1975.

Cos’è il sale che usiamo in cucina? E’, essenzialmente, cloruro di sodio: almeno al 97% per legge.

Le saline di Margherita di Savoia (foto Wikipedia).

Nell’altro 3% ci troviamo cloruri si calcio, magnesio e potassio e non vi devono essere materiali insolubili. In Italia, si trova in commercio sotto forma di “sale grosso” o “sale fino”, secondo la dimensione dei cristalli, e in “sale marino”, o “salgemma” (quest’ultimo è il sale scavato nelle miniere), a seconda del tipo di produzione. In altri paesi è quasi sempre commercializzato in polvere più o meno fine e il suo metodo di produzione cambia secondo la forma in cui è disponibile.

La forma più antica di estrazione di sale marino è quella per evaporazione solare e si ottiene nelle saline. In pratica, l’acqua di mare viene indirizzata in vasche impermeabilizzate di grande estensione e bassa profondità, dove sosta per un tempo variabile a seconda delle caratteristiche costruttive e del clima e, per effetto dell’irraggiamento solare, si concentra in una densa salamoia che, col crescere della concentrazione, viene trasferita in vasche sempre diverse. Lo scopo di questa raffinazione è l’eliminazione dei sali diversi dal cloruro di sodio fino a ottenere il prodotto voluto. In Italia, le principali saline si trovano a Trapani, in Sicilia, dove il sale marino è inserito tra i prodotti agroalimentari tradizionali siciliani; a Margherita di Savoia, in Puglia; a Cagliari, in Sardegna e a Cervia, in Romagna.

Cervia rappresenta una particolarità fra le saline italiane perché si trova molto a nord e il suo Il sale è dolce. Infatti, le caratteristiche delle sue vasche e la composizione chimica del mare Adriatico, fanno in modo che il prodotto che se ne ricava sia costituito di cloruro di sodio purissimo, con una quasi inesistente presenza degli altri cloruri. Inoltre, la scelta di non essiccare artificialmente, né di sbiancare chimicamente il sale, lo lascia integrale e ad alta solubilità. Il sale dolce di Cervia mantiene l’umidità che gli deriva dal suo percorso nelle vasche e anche il suo colore tipico, che non è bianchissimo, ma anzi ha in sé tutte le sfumature del rosa e del grigio che gli derivano dal percorso produttivo.

Una miniera di sale in Polonia (foto Wikipedia).

Per il Monopolio di Stato la salina di Cervia (piccola in confronto alle immense saline siciliane e pugliesi, dove, tra l’altro, il sale si raccoglie più volte l’anno, grazie a condizioni climatiche diverse da quelle del nord dell’Italia) era considerata “antieconomica”. Per i cervesi, al contrario, era fondamentale che la produzione del sale non cessasse, per evitare l’impaludamento del territorio. Quindi hanno continuato a produrre con le proprie forze, creando anche un Parco della Salina di Cervia che organizza visite guidate e manifestazioni per far conoscere la propria storia a turisti, scuole e studiosi. Se soggiornate da noi all’Hotel Doge, fateci un pensierino…

Una seconda forma di estrazione del sale marino è a evaporazione indotta. Differisce dall’evaporazione solare perché la sorgente di energia non è più il sole, ma lo sono il vapore d’acqua o l’energia elettrica. Dato che il costo energetico è proporzionale alla quantità d’acqua da evaporare, viene impiegata esclusivamente su salamoie che siano arrivate quasi alla fine del ciclo.

Il terzo e ultimo metodo è da estrazione da miniera (il salgemma, come abbiamo prima ricordato). Esistono depositi di sale, residui di mari preistorici, anche in paesi dal clima freddo o troppo piovoso, dove non sarebbe possibile ottenere questo prodotto grazie al prezioso aiuto del sole. In questo caso, il cloruro di sodio si ottiene utilizzando delle apparecchiature meccaniche che scavano in delle vere e proprie miniere. Si ottiene un cloruro di sodio in grossi pezzi che in seguito vengono macinati per portare i cristalli a dimensioni commerciabili.

Quanto lavoro e quanta storia, dentro a “un pizzico di sale”…