Se c’è una pasta che potremmo definire… sexy, questa è il tortellino. Presente ormai sulle tavole di tutta Italia nella sua versione “industriale”, assume un gusto inarrivabile quando è preparato a mano da una sapiente cuoca emiliana. Ma perché definire sexy il tortellino? E perché parlare, genericamente, di cuoca “emiliana” e non, ad esempio, di cuoca parmigiana, o modenese, o bolognese? Andiamo con ordine…

Alessandro Tassoni.

Dobbiamo partire dalle leggende che circondano la nascita di questa pasta ripiena. Innanzitutto dal paese nel quale, per la prima volta, la favola del tortellino racconta che questo sia stato creato: Castelfranco Emilia. Questa cittadina, le cui origini sono celtiche (gli insediamenti in quella zona erano chiamati Forum Gallorum dai romani), è sempre stata paese di confine, storicamente conteso fra Bologna e Modena. Il poeta modenese Alessandro Tassoni, nel 1614 scrive il poema eroicomico “La Secchia Rapita”, sarà pubblicato per la prima volta a Parigi nel 1622 con lo pseudonimo di Aldovrinci Merisone. Solo dopo aver superato i veti della censura pontificia (fu lo stesso papa Urbano VIII a occuparsi della revisione del testo), il Tassoni lo pubblicherà in Italia nel 1624 a proprie spese.

“La Secchia Rapita” è ambientato nel Milleduecento, ai tempi dell’imperatore Federico II di Svevia. Il poeta immagina che nasca un conflitto tra le città di Bologna e Modena, a causa di una secchia di legno. I modenesi, che stanno inseguendo gli avversari in ritirata dopo la battaglia di Zappolino (realmente avvenuta), si fermano a un pozzo per dissetare se stessi e i loro cavalli. Dal pozzo, rubano una secchia di legno e la portano a Modena quale trofeo di guerra (adesso capite perché si tratta di un poema eroicomico!). I bolognesi, ovviamente, pretendono l’immediata restituzione di un bene così prezioso e, al rifiuto dei modenesi, dichiarano guerra. Vista l’importanza dell’oggetto, anche gli dei dell’Olimpo decidono di prendere parte alla disfida, quasi fosse una nuova guerra di Troia. Apollo e Minerva si schierano con Bologna; Marte, Venere e Bacco con Modena.

Facciamo un salto in avanti. Nell’Ottocento il poeta, giornalista, politico bolognese Giuseppe Ceri, riprende la storia degli dei scesi in guerra nella “Secchia Rapita” e, in un suo poemetto, racconta di come Venere avesse deciso di riposare in una locanda di Castelfranco Emilia, dopo una notte di fuoco in compagnia di Marte e Bacco. La mattina, la dea della bellezza chiama l’oste e gli chiede dove fossero finiti i suoi compagni di giochi notturni. Ascoltata la risposta del padrone di casa, Venere balza giù dal letto e, nel muoversi, la camicia da notte si scosta lasciando intravvedere le sue forme. In particolare, l’oste rimane colpito dall’ombelico. E cosa fa, questo benedetto uomo? Anziché approfittare della presenza della più bella fra tutte le dee, scende in cucina, prende un pezzo di pasta e riproduce le fattezze dell’ombelico di Venere: nasce il tortellino. E adesso provate a dire che non è una storia sexy, se vi riesce…

Una variante di questa leggenda, fa addirittura il nome della locanda di Castelfranco in questione: Corona. Secondo questa versione, una giovane e bella marchesa lì si fermò a

Tortellini in brodo.

riposare. Il locandiere, colpito dalla sua bellezza e certamente un po’ voyeur, dopo averla accompagnata in camera si fermò a spiarla dal buco della serratura. Anche in questo caso l’oste rimane colpito dall’ombelico e se ne va in cucina a riprodurne le fattezze. In ogni caso, sempre a Castelfranco siamo. Ed ecco perché non si può dire se il tortellino sia nato prima a Bologna o prima a Modena, essendo stata Castelfranco, da sempre, territorio di confine conteso: a volte felsineo, a volte sotto l’egida della Ghirlandina. Naturalmente, di varianti della leggenda ne esistono ancora tante altre, ma queste sono senz’altro le due più importanti.

La storia racconta, invece, di come una pergamena del 1112 già trattasse dei tortellini o, meglio, dei tortelli o tortelletti, loro antenati: “Tertia pars tortellorum monachorum est”. Ovvero: “La terza parte dei tortelli va data ai monaci”. Una bolla di papa Alessandro III, nel 1169, stabilisce che a una chiesa si dovessero assegnare “duas partes tortellorum” (due parti di tortelli). Altre citazioni a proposito di tortelli si susseguono nel corso dei secoli. E cominciano ad apparire le prime ricette. In uno scritto del Milletrecento si descrive la preparazione dei tortelletti di enula (una pianta erbacea) con l’aggiunta di formaggio, uova e lonza di maiale nell’impasto. Siamo ovviamente lontani dagli attuali tortellini ma va detto che nel corso dei secoli, la ricetta del ripieno è cambiata e si è evoluta secondo i mutamenti del gusto. Pensate che la ricetta di Pellegrino Artusi nel suo “La Scienza in Cucina e l’Arte del Mangiar Bene”, testo che abbiamo più volte citato in questa rubrica, recita: “30 grammi di prosciutto crudo; 20 grammi di mortadella; 60 grammi di midollo di bue; 60 grammi di parmigiano; un uovo e odore di noce moscata. Con questa dose ne farete poco meno di trecento e ci vorrà una sfoglia con tre uova”. Siamo già nel 1891 ma, anche in questo caso, siamo lontani dalla ricetta attuale.

Pellegrino Artusi.

E, a proposito di ricetta, posto che ogni famiglia emiliana avrà le sue piccole varianti segrete, qual è la ricetta “ufficiale” odierna? In questo caso, pensiamo non si possa prescindere da quella depositata dalla Dotta Confraternita del Tortellino, in collaborazione con l’Accademia Italiana della Cucina, il 7 dicembre 1974, mentre il 15 aprile 2008 è stato depositato alla Camera di Commercio di Bologna, assieme alla ricetta, l’intero corpus dei disciplinari di produzione e dell’insieme delle caratteristiche del vero Tortellino Bolognese che rigorosamente riportiamo come descritto nel documento originale del 1974.

Per mille Tortellini

La sfoglia: Pasta fresca gialla preparata con tre uova e tre etti di farina.

Il ripieno: 300 grammi di lombo di maiale rosolato al burro, 300 grammi prosciutto crudo, 300 grammi di vera Mortadella di Bologna, 400 grammi formaggio Parmigiano-Reggiano, tre uova, una noce moscata.

Il brodo: Un chilo di carne di manzo (doppione); 1/2 gallina ruspante; sedano, carota, cipolla, sale.

Preparare il ripieno dei tortellini macinando molto finemente la carne e incorporarvi le uova, il Parmigiano, la noce moscata. Il composto così preparato va lasciato riposare almeno dodici ore in frigorifero.

Preparare il brodo mettendo la carne e la mezza gallina in una pentola con quattro litri d’acqua fredda e portarla ad ebollizione, quindi togliere con la schiumarola la schiuma formatasi sull’acqua, aggiungere le verdure, aggiustare di sale e fare bollire molto lentamente per almeno tre ore.

Preparare i tortellini stendendo la pasta sul tagliere di legno con il matterello fino a renderla molto sottile, tagliare dei quadretti di circa tre centimetri di lato, al centro di ogni quadratino collocarvi una noce di ripieno, quindi piegare la pasta a triangolo facendo combaciare i lati, piegare il triangolo così ottenuto girandolo attorno al dito e sovrapponendo i due angoli opposti, premere il tortellino in modo che la pasta si attacchi saldamente e il tortellino rimanga in forma. Man mano che saranno pronti riporli su un ripiano.

Scolare il brodo dalla carne e portarlo di nuovo ad ebollizione, poi tuffarvi i tortellini piano piano e lasciarli cuocere a fuoco medio per almeno 3/4 minuti, prima di servire caldissimi con abbondante Parmigiano.