Dopo aver prima scritto della mortadella bolognese che tutti conosciamo e aver raccontato delle sue “cugine

Mortadella di Prato impiattata. Foto di Andrea Gori da flickr.com.

prossime” mortandela, marcundela e mortandea la scorsa settimana, chiudiamo il cerchio sulle carni “di recupero” del maiale, parlando della mortadella di Prato. Un prodotto che stava per scomparire definitivamente dalle tavole

toscane negli anni Cinquanta del secolo scorso ma che è stato fortunatamente ripescato da alcune famiglie pratesi di produttori e macellai. L’origine di questo salume povero è remota. Veniva preparato con le carni scartate dalla produzione della finocchiona o di seconda scelta che poi erano sottoposte a una forte speziatura con pepe nero macinato e in grani, sale, polpa d’aglio pestato, coriandolo, cannella, chiodi di garofano e aromatizzate con l’alchermes. La zona di produzione attuale comprende i comuni di Prato, Agliana, Quarrata e Montale in provincia di Pistoia. Dal 2016 la mortadella di Prato ha conquistato l’Igp (Indicazione Geografica Protetta) ed è presidio Slow Food dal 2000.

Le caratteristiche della mortadella di Prato

La mortadella di Prato è molto saporita e profumata grazie all’accentuata speziatura e all’aggiunta di alchermes. La ricetta moderna è stata rielaborata in anni recenti e alleggerita di spezie e aromi per ottenere un prodotto più delicato. La scelta delle carni magre, ottenute dalle spalle e dalle rifilature dei prosciutti, viene effettuata avendo particolare cura nel togliere nervo e grasso; il dado di grasso proviene dalle guance e dai lardoni. Le carni scelte vengono messe a freddare e poi macinate, speziate e insaccate. Le mortadelle vengono successivamente riposte in stanze di stufatura per circa sei giorni, per essere poi cotte a vapore per circa dodici ore fino a raggiungere una giusta cottura al “cuore”.

Il disciplinare di produzione

Alcuni ingredienti della mortadella di Prato (foto flickr.com).

Per fare chiarezza sulla ricetta attuale della mortadella di Prato, dobbiamo guardare al disciplinare di produzione che recita: “La mortadella di Prato è costituita esclusivamente dai seguenti tagli di carne, nelle percentuali in peso indicate: spalla da 40 a 50%; lardo da 9 a 15%; rifilatura prosciutto da 10 a 20%; capocollo da 5 a 15%; guanciale da 5 a 15%; pancetta da 5 a 10% Gli ingredienti obbligatori sono in peso: alchermes da 0,3 a 0,6%; pepe macinato da 0,1 a 0,3%; pepe in grani da 0,1 a 0,2%; sale marino da 2,0 a 3,0%; spezie macinate (coriandolo, cannella, noce moscata, macis e chiodi di garofano) da 0,1 a 0,25%; aglio da 0,08 a 0,2%; è vietata l’aggiunta di glutammato di sodio”. Il disciplinare di produzione prevede, tra le tante cose, anche precise tecniche di lavorazione, rifilatura, macinatura e impastatura. Per ciò che riguarda l’insaccatura, deve essere utilizzato il budello naturale o sintetico. Nel caso si tratti di budello naturale questo deve preventivamente essere lavato con acqua corrente e aceto per almeno due ore o, in alternativa, immerso in acqua e aceto sempre per due ore.

Perché questo salume nasce a Prato

La mortadella di Prato è un prodotto di chiaro stampo medievale. Prato fu caratterizzata, fin dall’antichità, da un uso razionale delle acque del fiume che la attraversa, il Bisenzio, il quale ha un regime idrico di natura torrenziale, con grandi variazioni di portata al variare delle stagioni. La necessità di bonificare la vasta e fertile pianura alluvionale, attraversata, oltre che dal Bisenzio, anche da vari torrenti (Ombrone, Calice, Bardena, Brana, per citare i principali), e l’intuizione di poterne sfruttare le acque vivaci a fini energetici, per il funzionamento sia dei mulini che delle macchine tessili, portò alla costruzione delle cosiddette “gore”, una vasta rete di canali artificiali che percorrono la piana di Prato e si gettano in ultimo nel torrente Ombrone, che a sua volta tocca i comuni confinanti di Agliana, Quarrata e Montale, ricadenti nella provincia di Pistoia. Proprio le gore e i torrenti, oltre alla fornitura di energia, permisero lo sviluppo fin dall’epoca medievale dell’Arte dei Beccai (l’antico nome dei macellai) un’attività che, per motivi d’igiene, richiedeva abbondanza di acqua corrente. Fu allora che, grazie a talentuosi norcini, si affermò la lavorazione e l’uso di carne suina che costituiva, già all’epoca, una voce importante per l’economia. Nell’alto Medioevo rappresentava il consumo principale nei mesi fra Novembre e Gennaio, e superava il 30% nel corso dell’anno. Per questi motivi naturali e antropologici questo salume è nato in questa cittadina della Toscana.

La storia della mortadella di Prato

I primi documenti certi sulla mortadella di Prato come prodotto originario della città di Prato risalgono al 1733, in

La Grande Macelleria. Un’opera di Annibale Carracci.

occasione della beatificazione di suor Caterina de’ Ricci, quando le monache dei monasteri domenicani di Prato allestirono per gli ospiti un pranzo dove figura come specialità locale. La ritroviamo menzionata nel 1854 nel carteggio Guasti-Pierallini, in articoli del giornale “Lo Zenzero” del 1862 e, lungo tutto il corso dell’Ottocento, in volumi di economia (L’Italia economica del 1868, l’Italia all’opera del 1869), in relazioni redatte in lingua italiana, inglese e francese per le Esposizioni internazionali di Londra e Parigi (in particolare del 1867) e in una nota di un commissario francese di polizia, che ci ragguaglia sull’esportazione del prodotto in Francia (1867) a conferma della sua conquistata reputazione. Nella relazione di un commissario per l’Esposizione internazionale di Londra, in particolare, si dice che “Le Mortadelle di Prato e di Bologna fuori – cioè all’estero – dan nome al genere intero”.

Insomma, questo prodotto così particolare e radicato nella storia del territorio pratese ma anche così conosciuto all’estero ha rischiato di scomparire del tutto fino a che alcuni non hanno deciso di ripescarlo e riportarlo a nuova vita, regalando a noi tutti l’emozione di poter gustare un sapore nuovo.