Una foto storica di “A Tavola alle 7”. Da sinistra, Alberto Lupo, Lila Rocco, Ave Ninchi e Luigi Veronelli. Foto tratta da Pycr. In copertina, Veronelli in una foto di wikiluigiveronelli da wikipedia.org.

Per molto tempo la mia personale immagine di Luigi Veronelli (Gino per gli amici), è stata legata a una trasmissione televisiva degli anni ’70: “A Tavola alle 7” che lui condusse prima a fianco di Delia Scala e Umberto Orsini e poi di Ave Ninchi. Presentò anche, nel 1979, un’altra trasmissione: Viaggio Sentimentale nell’Italia dei Vini” nella quale propose l’aggiornamento, provocatorio e di denuncia, della viticoltura italiana con inchieste, interviste e proposte che ebbero molto successo e alimentarono anche furiose polemiche nel mondo del vino di allora. Ma la mia immagine di Veronelli prestatore tv in ambito enogastronomico era davvero molto parziale perché quest’uomo fu l’antesignano di un atteggiamento oggi molto presente nella cultura enogastronomica italiana: l’attenzione al territorio; la cura della diversità; il dare importanza al piccolo produttore; la ricerca della qualità; l’importanza del “chilometro zero”; il biologico.

Veronelli, cioè la cultura del territorio

Veronelli aveva in testa tutti questi temi e cercò di renderli noti a un pubblico il più vasto possibile. Non solo

Luigi Veronelli con alcuni sommelier nel 2003. Foto di OneArmedMan da wikipedia.org.

con la Tv che rappresenta un’appendice, certo importante, del suo lavoro ma anche e soprattutto con una serie d’iniziative editoriali, articoli e interventi destinati a lasciare il segno. Ma, alla fine, chi era Veronelli? Cominciamo a dire che era un uomo di ottima cultura. Studiò al Liceo Classico Parini di Milano e alla maturità tenne testa alla commissione d’esame parlando fluentemente in greco antico. Una prova davvero non facile. All’Università Statale meneghina s’iscrisse a ingegneria per fare contenta la famiglia che aveva un’impresa nel settore della chimica, ma dopo pochi mesi passò a filosofia che era molto più nelle sue corde. Diventò assistente di Giovanni Emanuele Bariè alla cattedra di filosofia teoretica e si diede all’attività politica. Divenne un anarchico e lo restò per tutta la vita. Persino negli ultimi tempi prima della sua morte, avvenuta a Bergamo il 29 novembre del 2004 (era nato nel 1926), andò a professare le sue idee su enogastronomia e libertà nei circoli anarchici di tutta Italia. Anche provocando i giovani interlocutori, com’era nel suo stile.

Veronelli editore

Veronelli con Gianni Brera, un altro personaggio prestato all’enogastronomia del quale abbiamo scritto di recente.

Che fosse un uomo nel quale politica ed enogastronomia facevano un tutt’uno lo rivela anche la sua esperienza di editore. Pubblicò tre riviste: I Problemi del Socialismo; Il Pensiero e Il Gastronomo. Nel 1957 fu condannato per il reato di pornografia per aver pubblicato, sempre come editore, un libretto del marchese De Sade. Opera che fu poi messo al rogo (!) per ordine della magistratura italiana. Per quel che riguarda più strettamente la nostra rubrica, conta di più la condanna a sei mesi che subì negli anni Ottanta per aver istigato i contadini piemontesi alla rivolta, con l’occupazione della stazione di Asti e dell’autostrada, per protestare contro l’indifferenza della politica per i problemi dei contadini e dei piccoli produttori. Veronelli, dunque, non solo portava i problemi dei piccoli produttori italiani (che lui temeva sarebbero stati schiacciati dalle multinazionali del food) all’evidenza di tutti; ma anche “si sporcava le mani” per difendere quel mondo a lui tanto caro. Una volta disse: “Meglio un pessimo vino di una piccola realtà contadina che un buon vino di una multinazionale”. Non so, sinceramente, se essere d’accordo…

I libri di Veronelli

Oltre all’attività di presentatore tv, editore e giornalista (fu una firma de Il Giorno per più di venti anni), fece molta ricerca in campo enogastronomico che lo portò a pubblicare opere che oggi si ritengono fondamentali: I Vignaioli Storici, i Cataloghi Vini d’Italia, Vini del Mondo, Spumanti e Champagne, Acquaviti e Oli extra-vergine e la collana Guide Veronelli all’Italia piacevole. Fondamentale anche la collaborazione con Luigi Carnacina, gastronomo celeberrimo. Insieme scrissero “Il Carnacina”, un libro con circa 2500 ricette nazionali e internazionali e, nel 1961, “La Cucina Rustica Regionale” che fu un grande successo editoriale.

Veronelli e le De.Co.

Non abbandonò mai la difesa dei piccoli agricoltori. Come si legge in molti suoi scritti pubblici o privati, le questioni per lui erano: difendere la Terra; la qualità della vita di chi lavora la campagna; osteggiare l’incipiente globalizzazione. Negli ultimi anni, insieme ad alcuni centri sociali tra cui La Chimica di Verona e il Leoncavallo di Milano, fece partire il movimento “Terra e libertà/Critical Wine”. Sempre di questi ultimi anni di vita sono le

Veronelli in cantina.

battaglie per le De. Co (Denominazioni Comunali). Veronelli non credeva alle Igp, alle Doc e alle Docg perché riteneva che coprissero un territorio troppo ampio e non si prestassero a descrivere bene ogni singolo prodotto. Per lui la “denominazione d’origine” doveva al massimo essere comunale perché, sosteneva: “Un prodotto può cambiare le sue caratteristiche già nell’arco di pochi chilometri”. Altre sue battaglie furono quella per il prezzo-sorgente, cioè per l’identificazione del prezzo di un prodotto alimentare all’origine, per rendere evidenti eccessivi ricarichi nei passaggi dal produttore al consumatore e quella per l’olio extra vergine d’oliva, contro le prepotenze e il monopolio delle multinazionali agricole e le ingiustizie della legislazione per i piccoli olivicoltori.

Veronelli come De Andrè?

Fu più un anarchico prestato all’enogastronomia o un enogastronomo romanticamente anarchico? Chi può dirlo? Per il movimento anarchico era “un compagno” a tutti gli effetti tant’è che nel 2009, a cinque anni dalla sua morte, gli anarchici della “Cellula Veronelli” organizzarono un incontro sulla sua figura al quale prese parte anche Gianni Mura (grande giornalista e altrettanto grande gourmet) e che il giornale anarchico Umanità Nuova, in occasione dell’anniversario della sua morte, scrisse che: “Come Fabrizio De André, Leo Ferré, George Brassens era un libertario, un uomo colto, senza dogmi, senza ipocrisie, in perenne lotta contro le multinazionali”.