Per le persone della mia generazione, che negli anni ’70 del secolo scorso erano adolescenti, l’immagine

Terence Hill all’assalto della padella di fagioli (immagine tratta da youtube) In copertina, foto di Shelley Pauls da Unsplash.

iconica dei fagioli è rappresentata da Terence Hill che nel film “Lo Chiamavano Trinità” se ne spazzola un’intera padella a colpi di mestolo e “scarpetta”. Una scena esilarante ancora oggi. Ammetto che il fagiolo è il mio legume preferito. Mi piace il suo sapore e, gustato semplicemente con olio, aceto, pepe e sale già mi accontenta. “La morte sua”, come direbbero a Roma, è nella “mitica” ricetta dei fagioli con le cotiche che si prepara un po’ in tutta Italia con le solite differenze regionali e locali e della quale vi serviamo subito la versione “alla romagnola”. Si tratta, naturalmente, di un piatto invernale nel quale fagioli e maiale si sposano in maniera sublime.

Il fagiolo è, per definizione antica, una verdura povera. Le cotiche, originariamente, erano uno scarto del maiale che veniva regalato ai lavoratori dei mattatoi perché non si riusciva a venderlo. Da due elementi sottovalutati è nato un piatto che definire succulento è dir poco. Questi sono gli ingredienti: 500 grammi di fagioli borlotti secchi; 300 grammi di cotiche di maiale; due cipolle; una carota; una costa di sedano; sale, pepe; 80 grammi di passata di pomodoro; qualche crostino di pane toscano tostato. E questa è la preparazione: la sera prima i fagioli vanno messi a bagno. Quando sarà il momento giusto, andranno lessati e poi scolati. Le cotiche vanno scottate in acqua bollente per cinque minuti in modo da fargli perdere una parte del grasso. Poi, si prepara un soffritto con sedano, carota e cipolle in olio. Si aggiungano le cotiche che avrete tagliato a strisce. Dopo qualche minuto si versano i fagioli, la passata di pomodoro, il pepe e il sale. Si cuoce a fuoco basso aggiungendo, all’occorrenza, l’acqua di cottura (che non avrete buttato via!). Quando si sarà ottenuta una bella crema densa, servite fagioli e cotiche nel piatto, dove avrete sistemato il pane toscano tostato.

Pianta di fagiolo comune (foto di Rasbak, CC BY-SA 3.0, httpscommons.wikimedia.orgwindex.phpcurid=265128).

 

 

 

 

Accontentata la pancia, vediamo di fare una conoscenza più approfondita di questo legume. Il fagiolo comune (Phaseolus vulgaris) è una pianta della famiglia delle leguminose, originaria dell’America centrale. Fu importato da Cristoforo Colombo dopo la scoperta delle Americhe. Fino a quel tempo, in Europa si consumavano unicamente fagioli di specie appartenenti al genere Vigna (i fagioli con l’occhio), di origine africana e asiatica. Il fagiolo comune ben presto lo soppiantò perché si dimostrò fin da subito più facile da coltivare e molto più redditizio (rispetto al Vigna la resa per ettaro è quasi doppia). Una fortuna subitanea e immediata, come non avvenne, per esempio, per la patata e per il pomodoro.

Il fagiolo comune venne introdotto in Italia tra il 1528 e il 1532 e la sua coltivazione fu praticamente contemporanea in Veneto e in Toscana, dove ha sempre avuto un ruolo fondamentale nella vita delle popolazioni locali, soprattutto quelle meno abbienti. A Firenze arrivò per merito di Carlo V, imperatore spagnolo, che ne donò una certa quantità a papa Clemente VII, al secolo Giulio de’ Medici. E fu sempre una Medici, Caterina, a introdurlo in Francia dopo il suo matrimonio con il re Enrico II nel 1533. A Clemente VII, in un certo senso, va ascritto il merito di aver dato il via alla coltivazione del fagiolo di Lamon, oggi una Igp molto pregiata. Questo papa affidò un sacchetto dei fagioli regalatigli da Carlo V a Pietro Valeriano, un accademico vaticano che stava tornando al suo paese natio, appunto Lamon, per godersi la meritata “pensione”. Valeriano non si limitò a coltivarli per sé sul terrazzo di casa ma, vedendo che fiorivano e si poteva riprodurli facilmente, ne diede anche ai suoi compaesani. Ben presto il fagiolo divenne la coltivazione più importante di tutto il borgo.

I fagioli sono ricchi di principi nutritivi e molto calorici: in particolare, sono ricchi di vitamine (gruppi A, B, C ed E) e di diversi sali minerali (potassio, ferro, calcio, zinco e fosforo), nonché di fibre. Uniti ai cereali, agli ortaggi, a qualche frutto, un po’ di latte e a un uovo di tanto in tanto, sono la base per una dieta

Fagioli Borlotti (Foto di Andrew Martin da Pixabay).

vegetariana equilibrata. Hanno un ruolo essenziale anche nel regime vegano che, in assenza d’integrazione, non può mai essere considerato totalmente equilibrato. I valori nutrizionali possono variare in base alle diverse varietà. Quelli che seguono, sono indicativi per 100 grammi di fagioli secchi: Acqua 10,5 grammi, Carboidrati 47,5 grammi, Proteine 23,6 grammi, Grassi 2 grammi. Valore energetico 291 chilocalorie.

Il fagiolo è disponibile in numerose varietà. Di seguito alcune delle qualità più diffuse in commercio in Italia: Borlotti, Cannellini, Corona, Bianchi di Spagna, Fagioli neri, Fagioli rossi, Fagioli di Lamon, Fagioli del Purgatorio. Questi ultimi si chiamano così per via del Pranzo del Purgatorio, un’antica tradizione che risale al Sedicesimo secolo e che ogni anno si rinnova a Gradoli, un Comune in provincia di Viterbo, nel Lazio, il mercoledì delle Ceneri. Il pranzo veniva e viene ancora organizzato dalla Fratellanza del Purgatorio per raccogliere fondi destinati al sostentamento delle famiglie in difficoltà. Era rigorosamente di magro, a base di pesce di lago e fagioli conditi con l’olio delle colline di Gradoli. Tutti gli anni la fratellanza perpetua la tradizione: il giovedì grasso vengono messi all’asta i prodotti che i membri dell’associazione, vestiti con il saio e incappucciati, hanno raccolto durante la questua della mattina, con il ricavato si finanzia il pranzo del mercoledì delle Ceneri.