Il pomodoro è uno dei simboli della cucina italiana: spaghetti al pomodoro, pizza, pomodori ripieni al forno,

Pomodori in varie fasi di maturazione (foto Wikipedia). In copertina, una foto di Lars Blankers dal sito Unsplash.com.

pappa al pomodoro, pomodori gratinati… sono solo alcune delle ricette più tradizionali che utilizzano questa pianta e che si preparano in ogni casa del Belpaese. Ma l’utilizzo del Solanum Lycopersicum (questo è il suo nome scientifico), in realtà, è piuttosto recente nella nostra cucina.

Le prime piante di pomodoro arrivarono in Europa al seguito dei conquistadores spagnoli. Pare assodato sia stato Hernan Cortes, di ritorno dall’America centrale, a introdurle nel vecchio continente: siamo circa nel 1522/1523. Il nome originale, in effetti, è in lingua azteca (gli aztechi erano gli abitanti del Messico assoggettati dallo stesso Cortes) ed è “xitomatl”, che in quella lingua significava “grande tomatl”. Il tomatl era un’altra pianta, simile al pomodoro ma più piccola e con i frutti di colore giallo verde. Questa pianta, oggi conosciuta come tomatillo, viene ancora impiegata nella cucina dell’America centrale. Gli spagnoli fecero confusione fra le due e le chiamarono allo stesso modo: tomatl. Ecco spiegato perché poi, in tutto il mondo, l’originario xitomatl divenne: tomate in Francia e in Spagna (con pronunce diverse), tomato in Inghilterra e negli Stati Uniti, tomaten in Germania, tomater in Svezia… ma allora, perché in Italia si chiama pomodoro?

Quando s’iniziò a utilizzare in Europa, non si avevano le idee molto chiare sul pomodoro. Si andava da un estremo all’altro. Secondo alcuni “studiosi” dell’epoca era velenoso; secondo altri aveva poteri afrodisiaci. Ovviamente, nessuna delle due ipotesi è veritiera. Le parti verdi del pomodoro (gambo e foglie) sono tossiche ma in quantità molto basse; sul fatto che il pomodoro sia afrodisiaco, anche se possiamo affermare che aiuta la circolazione del sangue… direi che lo possiamo escludere. Però, questa sua fama immeritata di “pianta dell’amore” fece sì che fin da subito al nome originale si affiancassero quelli di “love apple” in inglese, “pomme d’amour” in francese, “Libesapfel” in tedesco e “pomo d’oro” in italiano. Solo noi abbiamo continuato a preferire il sostantivo più romantico rispetto a quello più “terra terra”. Ma, si sa, siamo italiani…

Foto di Rodion Kutsaev dal sito Unsplash.com.

La credenza che fosse velenoso, durerà per secoli in alcune parti del mondo. Negli Stati Uniti, ad esempio, si dovrà attendere il 1829 per vederlo autorizzato sui mercati alimentari. In realtà, era già presente dal 1781, introdotto da un rifugiato francese, ma lo “sdoganamento” del pomodoro negli Stati Uniti fu opera di un misconosciuto pittore italiano: Michele Felice Cornè. Cornè, nato sull’Isola d’Elba ma cresciuto a Napoli, nel 1800 fugge negli Usa a seguito delle guerre napoleoniche e si stabilisce nella cittadina di Salem (sì, proprio quella della caccia alle streghe terminata solo qualche decennio prima). Evidentemente gli abitanti di quel borgo non dovevano essere molto aperti alle novità tant’è che, quando vedono il buon Michele mangiarsi dei pomodori, pensano voglia suicidarsi. Cornè rimane allibito perché in Italia il pomodoro è ormai un alimento di consumo comune. Dopo un po’ che questa situazione va avanti (a questo punto storia e leggenda vanno a braccetto), nel 1802 decide di fare qualcosa di eclatante: mangerà pubblicamente un pomodoro in piazza, davanti a tutti, dimostrando che non è velenoso. Tra lo stupore generale Cornè sopravvive e da quel momento il pomodoro troverà sempre più spazio anche nella cucina statunitense. Non basta: pare che gli abitanti di Salem, riconoscenti, abbiano voluto erigere in suo onore una statua che, ancora oggi, fa bella mostra di sé su una piazza della cittadina.

E pensare che il primo a raccontare del pomodoro fu un frate francescano spagnolo, padre Bernardino de Sahagun. Attraversato l’Oceano Atlantico nel 1526 assieme a dodici confratelli con il compito di convertire gli indigeni al cattolicesimo, Bernardino scrisse la Historia General de la Cosas de la Nueva Espana raccogliendo anche delle ricette locali. Tra queste, ricorda il frate: “Le donne Nahua preparavano le loro salse in questa seguente maniera: aij (peperoncino), pepitas (semi di zucca), tomatl (pomodoro), chiles verdes (peperoncini verdi piccanti) e altre cose che rendono i sughi molto saporiti”. Purtroppo, il libro di padre Bernardino sarà pubblicato solo nel 1829 e solo in Messico negandogli così, per più di tre secoli, il privilegio di essere stato il primo al mondo a scrivere una ricetta contenente il pomodoro.

In Italia, come detto, questo succoso frutto della terra era diventato di uso comune già dal Seicento pur non riscuotendo tutto il successo di cui gode oggi. La citazione più antica è quella di Antonio Latini, cuoco marchigiano al servizio di Esteban Carillo Salsedo, reggente del Re a Napoli. Latini, nel suo libro “Lo Scalco alla Moderna”, scrive una sola ricetta con i pomodori, consigliando di cuocerli con “malignane e cocuzze”, melanzane e zucchine, in uno stufato di verdure. Nel “Panonoto Toscano” del 1705, scritto da Francesco Gaudenzio, si propone un misto di verdure in tegame con pomodori tagliati a pezzi e soffritti nell’olio. Quaranta anni dopo, Vincenzo Corrado nel suo “Cuoco Galante” presenterà ben dodici ricette a base di pomodori: stufati, ripieni e passati.

Ma… e la pasta col pomodoro? E la pizza? Per trovare dei riferimenti alla pasta condita col pomodoro, si dovrà

Il fiore del pomodoro (foto Wikipedia).

aspettare il 1839 quando Ippolito Cavalcanti, duca di Bonvicino, nel suo “Cucina teorico pratica”, codificherà, per la prima volta “i vermicielli co’ le pommodore”, precisando che la salsa deve essere preparata con moltissimi frutti, eliminando “chelli semi e chella acquiccia”. Per quel che riguarda la pizza, il primo riferimento letterario è altissimo. Nel 1835, Alexandre Dumas (proprio quello del Conte di Montecristo e dei Tre Moschettieri) descrive vari tipi di pizza: con olio e aglio, con pesciolini e col pomodoro. Una ventina d’anni più tardi, il napoletano Emanuele Rocco conferma queste ricette aggiungendo la mozzarella e abbinando prosciutto e pomodoro. La leggenda che la pizza Margherita sia stata preparata per la prima volta dal pizzaiolo napoletano Raffaele Esposito nel 1889 viene così a cadere. Ma questa è una leggenda che racconteremo in futuro…

Conosciuta la storia di questa pianta, non possiamo non terminare questo articolo citandone le caratteristiche positive. Innanzitutto, va detto che i pomodori hanno un contenuto di grassi irrisorio, con un conseguente apporto calorico molto basso: solo 18 calorie per 100 grammi. Sono fonte di preziosi nutrienti, soprattutto di potassio, fosforo, vitamina C, vitamina K, folati e licopene. Questa sostanze regalano al pomodoro proprietà antiossidanti, diuretiche e preventive, ma non solo. Grazie alla ricchezza di sostanze antiossidanti, soprattutto licopene, il consumo regolare di pomodori è in grado di diminuire drasticamente il rischio di cancro ad esempio al seno, alle ovaie, alla prostata e al pancreas, svolgendo una buona azione preventiva. Il potassio agisce da vasodilatatore ed è un aiuto per chi soffre di pressione alta. L’invecchiamento cellulare è dovuto all’azione dei radicali liberi che vengono contrastati efficacemente grazie agli antiossidanti come Vitamina C, Beta-carotene e licopene. La luteina e la zeaxantina presenti nei pomodori aiutano a proteggere gli occhi dalle radiazioni solari. Grazie all’abbondanza di acqua e di potassio, hanno un effetto diuretico riducendo di conseguenza la ritenzione di liquidi e la formazione della cellulite. Contengono sostanze utili per rinforzare le ossa, ossia il calcio e la vitamina K. La presenza di fibre li rende utili nello stimolare il transito intestinale, aiutando così il processo digestivo. Infine, un consumo regolare di pomodori, è in grado di prevenire la comparsa dei crampi. Insomma, non saranno afrodisiaci… ma fanno comunque molto bene.