Il cioccolato è un alimento che deriva dei semi della pianta del cacao. E’ originario del Centro America.
Granuli di cacao sono stati ritrovati da archeologi a Santa Ana La Florida, nell’Ecuador, e sono stati scientificamente datati Al 3300 avanti Cristo. Pare siano i più antichi mai ritrovati, ma si presume che la pianta fosse conosciuta perlomeno dal 6000 A.C. Furono i maya, una popolazione che colonizzò l’America centrale dal 750 avanti Cristo fino alla conquista degli spagnoli nel Sedicesimo secolo, a coltivare per primi la pianta del cacao e a rendere il cioccolato una bevanda preziosa. I maya la chiamavano kakaw uhanal “cibo degli dei” e lo distribuivano solo ai nobili e ai guerrieri. Per di più, utilizzavano i semi di cacao come moneta per pagare acquisti e debiti, tanto erano ritenuti preziosi.
Il primo europeo a venire in contatto con il cacao fu Cristoforo Colombo. Al ritorno dal suo quarto viaggio nelle Americhe, nel 1502, tornò in Spagna con alcuni semi. Ma il cacao cominciò a essere commercializzato nelle terre di tutto l’impero spagnolo solo qualche decennio più tardi. Pare che il nome cioccolato si debba agli aztechi. Questi avevano colonizzato il Messico ed erano entrati in contatto con i maya. Avevano preso l’abitudine di consumare una bevanda calda a base di cacao (in azteco cacahuatl) che chiamavano chocolati (pronunciato, ciocolati). Gli spagnoli, fra un massacro e l’altro, ne scoprirono la bontà e, quando fu il momento di darle un nome, non scelsero quello che ricordava il cacao perché suonava molto volgare anche nello spagnolo di allora. Quindi, il termine “cioccolato” ebbe il suo meritato successo prima in tutto l’impero spagnolo e poi in Europa.
Naturalmente, la cioccolata liquida, calda o fredda, non si consumava come oggi. Sappiamo che maya e aztechi la allungavano con l’acqua, l’aromatizzavano con pepe, peperoncino o vaniglia o la combinavano con farina di mais e miele. Maya e aztechi prima, e spagnoli poi, si accorsero che era una bevanda davvero corroborante ed energetica. Probabilmente perché il cacao contiene teobromina, un elemento naturale che stimola il sistema nervoso.
Abbiamo parlato di “bevanda” perché il consumo di “chocolati” solido era meno usuale. Uno dei primi accenni al cioccolato solido lo abbiamo da un missionario gesuita spagnolo, Josè de Acosta che verso la fine del Cinquecento scrive: “Tutti ne sono golosi. Ne preparano di diversi tipi: caldi, freddi, tiepidi e vi aggiungono molto chili. Ne fanno, inoltre, UNA PASTA che dicono essere buona per lo stomaco e contro il catarro”. Nel corso dei decenni, sono proprio i monasteri (o, meglio, i loro preziosi laboratori) a cambiare il modo di gustare il cioccolato in Europa: eliminano pepe e peperoncino e aggiungono vaniglia e zucchero.
In Europa, la prima tavoletta solida di cioccolato viene prodotta a Modica, in Sicilia. Allora la Contea di Modica era un protettorato spagnolo e questo la favorì certamente nell’avere per prima, fuori dalla Spagna, i preziosi semi. La cosa bella è che a Modica il metodo di lavorazione delle tavolette è sì cambiato ma nel rispetto della tradizione locale. Così, ancora oggi, il cioccolato modicano non prevede la fase del concaggio e ci regala delle barrette nere, molto grezze, granulose, con i cristalli di zucchero che rimangono integri all’interno della pasta.
Dopo Modica, Firenze diviene la capitale del cioccolato in Italia grazie al commerciante Francesco d’Antonio
Carletti che, dalla Spagna, promuove la diffusione dei semi di cacao. Da lì a Venezia, Torino e poi in Austria con Anna d’Austria che sposa Luigi XIII e introduce il cioccolato in Francia. L’avanzata del cioccolato in Europa è inarrestabile e i consumi lievitano costantemente. Persino Papa Pio V, nel 1569, decreta che anche in periodi di digiuno come la Quaresima, il cioccolato possa essere consumato, purché in forma liquida.
Abbiamo accennato al “concaggio” che è una delle fasi della preparazione del cioccolato. Per ottenere una tavoletta, si parte dalla miscelazione che aggiunge alla pasta di cacao altri ingredienti. Per esempio: polvere di cacao, burro di cacao, zucchero e vaniglia per il cioccolato fondente. Per quello al latte, a questi ingredienti si aggiunge del latte condensato o in polvere. Per il cioccolato bianco occorrono burro di cacao, zucchero, vaniglia, latte o latte in polvere. La seconda fase è quella del concaggio, inventata da Rodolphe Lindt (il cognome vi dice qualcosa?) nel 1880. Consiste nel mescolare per tempi molto lunghi la miscela di ingredienti in apposite impastatrici dette “conche” aggiungendo eventualmente dell’altro burro di cacao. La fase successiva è quella della tempra. Visto che il burro di cacao tende a cristallizzare in modo irregolare, il cioccolato fuso viene raffreddato con cautela in modo da portare alla cristallizzazione desiderata, in altre parole: a un cioccolato che si spezza con le dita ma si scioglie in bocca. Per ottenerla, la massa di cioccolato viene raffreddata gradualmente da 45 a 27 gradi centigradi, quindi riscaldata a 31 gradi per il cioccolato fondente e a 29 per quello al latte. Successivamente viene raffreddata fino allo stato solido. Dopo la tempra, il cioccolato viene sottoposto alla formatura. Viene cioè versato in stampi che vibrano leggermente per eliminare le bolle di aria imprigionate all’interno. Una volta raffreddato, il cioccolato assumerà la forma degli stampi ed è pronto per l’ultima fase che è quella del confezionamento. Normalmente questo avviene in fogli di alluminio, accoppiati a carte alimentari, i quali consentono un completo isolamento dall’ambiente esterno.
Flavio Semprini è un giornalista professionista free-lance. Scrive di sport, enogastronomia, edilizia e turismo e si occupa di uffici stampa e comunicazione per aziende, associazioni ed enti sia pubblici che privati. Ha scritto diversi libri, alcuni sulla cucina romagnola, utilizzando per questi ultimi il doppio pseudonimo di Luigi Gorzelli/Paolo Castini.