La mia generazione ha imparato a conoscere il cous cous solo di recente. Sono state le immigrazioni di popolazioni magrebine

Foto di Jennifer Burk per Unsplash. In copertina, foto di Pixel1 per Pixabay.

(tunisine e marocchine soprattutto) a partire dagli anni ’80, a farcelo conoscere. Nell’immaginario attuale si tratta di un piatto “straniero” che non ha niente a che vedere con la tradizione culinaria italiana. Tutto ciò è vero solo in parte.

E’ vero che il cous cous s’inizia a preparare nel Maghreb attorno all’ottavo secolo dopo Cristo. E’ un cibo povero che utilizzano le carovane di mercanti attraversando i deserti dell’Africa nord occidentale. La sera, fermandosi sotto le loro tende per mangiare e riposare, avevano imparato a cucinare questi chicchi di semola di grano o miglio duro che erano facilmente trasportabili. Nel corso dei secoli, questi carovanieri mussulmani vengono naturalmente in contatto, nei porti del nord Africa, con commercianti e pescatori cristiani che, a loro volta, viaggiano da e per la Spagna e la Sicilia. Ecco che, allora, il cous cous diventa un piatto da cucinare anche tornati a casa. I marinai siciliani di Trapani, Mazara del Vallo, Marsala, Pantelleria, Favignana, si accorgono che le loro tradizionali zuppe di pesce possono diventare più gustose grazie a questa novità. Tornati a casa, insegnano alle mogli come preparare questa pietanza. Se il cous cous magrebino in origine è “condito” con carne di montone, quello siciliano si arricchisce col pesce fresco. Così questo cibo diventa parte anche della tradizione culinaria della Sicilia e poi di altre regioni o porti che hanno scambi commerciali con il nord dell’Africa (dalla Sardegna a Livorno, fino a Genova).

In epoche di forti contrasti geopolitici, questa pietanza diviene sinonimo di “condivisione” culturale. Infatti, c’è chi la definisce come “il piatto dell’agape” nel senso che davano a questa parola greca sia gli antichi cristiani (convito fraterno); sia i mussulmani (piatto della pace). Ma il cous cous è anche un lontano precursore dei cibi da strada odierni, date le sue origini, e un antico esempio di finger food, visto che ancora oggi, nei suoi luoghi d’origine, viene gustato attingendo da un piatto comune e facendo delle palline con tre dita, seguendo le indicazioni del Corano che ne descrive anche la ragione: “Con un dito mangia il diavolo, con due il profeta e con cinque l’ingordo“.

Re Salomone (immagine tratta da Wikipedia).

Come ogni cibo con una storia almeno centenaria, anche sul cous cous fioccano le leggende. La più nota riguarda Salomone il quale, secondo la Bibbia, fu terzo re d’Israele (dunque questa pietanza entra nella tradizione ebraica). Egli s’innamorò della regina di Saba ma, poiché lei lo ignorava, cadde in uno stato di profonda depressione. A salvarlo da questo stato catatonico sarebbe stato un bel piatto di cous cous capace di ridonargli vitalità e allegria. Una seconda storia racconta di una giovane donna che, su una spiaggia, fu avvertita da un pesce (o da un topolino) che la sabbia sulla quale poggiava i piedi era commestibile. I granelli gialli che costituivano la rena, altro non erano se non una semola di grano giunta da una vecchia nave sprofondata negli abissi. Un’altra leggenda narra di un viaggiatore magrebino in visita a uno studioso di Damasco, in Siria. Essendosi ammalato, la soluzione alle sue pene arrivò all’erudito amico in sogno. Sarebbe stato niente meno che il profeta Maometto a suggerire di dar da mangiare del cous cous al viaggiatore il quale, ovviamente, guarì.

Come si prepara il cous cous? Occorre avere una buona “cuscussiera”, una pentola di terracotta o metallo formata da due tegami sovrapposti: in quello inferiore viene messo il brodo con le verdure e la carne, mentre la parte superiore, bucherellata, accoglie la semola, che cuoce al vapore assorbendo gli aromi provenienti dalla pentola sottostante. I chicchi sono ottenuti dalla semola di grano (o di miglio) in seguito a un lungo processo di lavorazione. I chicchi crudi, dopo essere stati bagnati con acqua, vengono manipolati e trasformati in palline; queste ultime sono poi passate al setaccio per essere sminuzzate. Non a caso il termine couscous in arabo significa “ridotto in piccoli pezzi”, fino a raggiungere il diametro di poco più di un millimetro. I chicchi vanno infine lasciati seccare al sole. Questo processo si è ormai meccanizzato e il couscous è venduto nei supermercati già precotto, in altre parole passato al vapore una prima volta ed essiccato. In questo modo per cucinarlo basta riporlo in una ciotola e ricoprirlo con acqua o brodo bollente, fino a quando avrà assorbito tutto il liquido.

Dovendo fornire una ricetta, proviamo con quella del cous cous alla trapanese, uno dei più tradizionali che abbiamo trovato sul sito mangiarebuono.it.

Foto di Bru-no per Pixabay.

Ingredienti per quattro persone

250 grammi di cuscus precotto; un chilo di pesce (scorfano, dentice, cernia, gamberi); olio extravergine d’oliva; due cipolle; uno spicchio d’aglio; due carote; due gambi di sedano; un mazzetto di prezzemolo; pomodori pelati; 50 grammi di mandorle tritate; alloro; Sale q.b.; peperoncino tritato q.b.

Procedimento

Pulite il pesce e privatelo della testa e delle lische. Con gli scarti preparate un brodo con acqua, sedano, carota e alloro. Lasciate cuocere poi, a cottura ultimata, filtratelo. Tagliate il resto pesce a pezzi; fate un soffritto con cipolla, olio, aglio e alloro, unite i pelati e il pesce, ricoprite con acqua e aggiungete le mandorle e un pizzico di peperoncino. Fate cuocere la salsa fino a quando sarà abbastanza densa, infine salate. Fate bollire il brodo preparato all’inizio e versatelo sul cuscus all’interno di una ciotola, mescolando con la forchetta, fino a quando i granelli si saranno gonfiati. Servite con la salsa di pesce.