Quella che noi chiamiamo noce moscata è il seme decorticato di un frutto di un albero originario delle Molucche, un gruppo di isole dell’Indonesia, facenti parte del più vasto arcipelago malese. Riguardo all’origine del nome ci sono due interpretazioni molto diverse. La prima sostiene che venga da Mascate, la capitale dell’Oman, luogo dal quale cominciò a essere commercializzata in tutto il mondo e conosciuta. La seconda che si chiami così perché il suo tipico aroma somiglia a quello del muschio (da cui “muschiata” e poi moscata). L’albero dal quale nasce si chiama Myristica fragrans, un sempreverde di 5/10 metri tipicamente tropicale. Da questa pianta, oltre alla noce moscata, si ricava un’altra spezia, il macis che altro non è che la parte esterna rossa che ricopre il seme.
Noce moscata: stermini di massa e… piccole stazioni commerciali
La sua storia è terribile e segna uno dei momenti più vergognosi per il cosiddetto Occidente civilizzato, quasi al pari
dell’eccidio di massa degli indiani americani da parte dei colonizzatori del West venuti dall’Europa. Tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento, gli olandesi con la loro Compagnia delle Indie, massacrarono la gente delle isole Banda in Indonesia, tra i produttori più importanti di questa spezia, nel tentativo di monopolizzare il suo commercio. Imposero la pena di morte a qualsiasi persona sospettata di vendere la noce moscata. Quando alcuni isolani osarono ignorare la minaccia, l’allora capo della compagnia, Jan Pieterszoon Coen, ordinò la decapitazione di ogni maschio Banda di età superiore ai quindici anni. Nel giro di cinque lustri, la popolazione originaria di 15mila abitanti fu ridotta a seicento. Un dato curioso riguarda l’Isola di Run. Sempre in quel periodo furono gli inglesi a prenderne il controllo e, per più di sessanta anni, olandesi e inglesi si batterono per il suo controllo finché, alla fine, si raggiunse un compromesso: i britannici accettarono di scambiare Run Island con una piccola stazione commerciale nelle Americhe. Quel piccolo avamposto commerciale si chiamava e si chiama ancora Manhattan.
La noce moscata in cucina
La noce moscata è molto usata in cucina perché il suo sapore caldo e acre si accompagna bene a molte pietanze della tradizione italiana: formaggi, selvaggina, salse, funghi, asparagi, spinaci… La dotta confraternita bolognese del tortellino, nel disciplinare dei tortellini in brodo di carne, ne prevede il doveroso uso. Tanto per rafforzare il concetto. Ma la troviamo anche in cappelletti, ravioli, cannelloni e anche in alcuni dolci. Dove è nata, in Indonesia, è ovviamente usatissima in molte zuppe piccanti ma anche nei sughi che vanno a contorno di piatti di carne (tipo lo spezzatino di manzo semur e le costolette al pomodoro). Nella cucina indiana è usata sia nei piatti salati che in quelli dolci. Nella regione del Kerala, ad esempio, è usata nelle preparazioni di carne e anche aggiunta ai dessert per donare più sapore. E quando viene macinata viene spesso affumicata.
Noce moscata, proprietà benefiche e non
Secondo la medicina popolare, questa spezia avrebbe proprietà stimolanti; aiuterebbe a espellere i gas dall’intestino; aumenterebbe l’appetito; sarebbe un tonico contro la stanchezza e avrebbe anche qualità afrodisiache e stimolanti. Addirittura alzerebbe il tono dell’umore e promuoverebbe il sonno. Tutte qualità che la medicina occidentale “accetta” fino ad un certo punto. Quel che è vero, però, è che la noce moscata possiede al suo interno antiossidanti, vitamine e minerali. Se presa in dosi eccessive ha degli effetti collaterali piuttosto evidenti e che possono portare a seri problemi. Ma stiamo parlando di quantità che niente hanno a che vedere con qualche bella grattugiata sul piatto!
Infatti, contiene miristicina ed elemicina, sostanze che possono danneggiare il normale funzionamento del sistema nervoso centrale come alcune droghe. Gli effetti sono spesso allucinogeni e, nei soggetti predisposti, possono portare anche a una forte ansia e a un certo senso di depressione. Proprio per questi motivi la noce moscata non trova spazio nella fitoterapia moderna e se ne sconsiglia l’uso sia in gravidanza, sia durante l’allattamento. In passato fu usata anche come abortivo perché fra le sue caratteristiche ha anche quella di inibire la produzione di prostaglandine. Cosa che può influenzare lo sviluppo del feto. Però è anche vero che questo blocco delle prostaglandine ha un effetto anticalvizie sul cuoio capelluto. Insomma, come per tutti i cibi o gli elementi che ci regala la natura, l’importante è non eccedere mai e usare ciò che abbiamo a disposizione con intelligenza.
Flavio Semprini è un giornalista professionista free-lance. Scrive di sport, enogastronomia, edilizia e turismo e si occupa di uffici stampa e comunicazione per aziende, associazioni ed enti sia pubblici che privati. Ha scritto diversi libri, alcuni sulla cucina romagnola, utilizzando per questi ultimi il doppio pseudonimo di Luigi Gorzelli/Paolo Castini.