In tutta Europa, e soprattutto in Italia, siamo nel pieno di una discussione, vivace e appassionata, sui “nuovi cibi” che

Una cocciniglia. Foto di Rinaldo R da flickr.com. In copertina, un’antica bottiglia di alchermes prodotti dai frati camaldolesi (foto tratta da commons.wikimedia.org).

l’Unione Europea ha già autorizzato e su quelli che potrebbe

autorizzare ad arrivare fin sulle nostre tavole. Nella prima di queste due liste ci sono il grillo domestico, la tarma della farina e la locusta; nella seconda potrebbero rientrare l’ape da miele e la mosca soldato nera in polvere. Che la discussione su queste “prelibatezze” sia particolarmente accesa nel nostro Paese non deve stupire. Siamo la nazione che conta più prodotti a denominazione di origine garantita nel mondo; siamo universalmente riconosciuti, con i francesi, come maestri del gusto, del buon cibo, del buon vino e della qualità alimentare. Che si trovi da discutere sull’usare mosche e locuste in gastronomia pare quantomeno normale.

Dalla cocciniglia all’alchermes

Devo confessare che l’idea di mangiare queste nuove tipologie di cibo (nuove per noi italiani, ché in altri Paesi sono pietanze di tutti i giorni) non mi attira. Un po’ perché mi paiono “brutte alla vista”. Trovo repellenti le locuste; orrendi i grilli; antipatiche le mosche; pericolose le api. Perché dovrei mangiarne? E pensare che sono una di quelle persone che amano provare cibi prodotti da culture di altri Paesi quando viaggiano all’estero, per vedere se incontrano il mio gusto. Le cucine popolari turca, greca, austriaca, slava, iberica, cinese, giapponese ecc, ecc. hanno tutte piatti godibilissimi. Quindi la mia resistenza alla novità in questione è proprio dovuta a un fatto “visivo/estetico” e a una non conoscenza dei sapori. Ciò non significa che, automaticamente, provato un sapore io poi lo apprezzi. Ad esempio: se la zuppa di miso e alga wakame (piatto giapponese) è preparata bene, io la trovo meravigliosa. Invece, mi pare assolutamente banale il sushi, per quanto ben preparato. Eppure sembra sia di gran moda… Però c’è un liquore che a me (e a molte persone) piace tantissimo; che è consumato in Italia da centinaia di anni; che fa parte della storia della nostra pasticceria e che nella sua versione originale e oggi più prelibata è originato dal corpo essiccato di un insetto: la cocciniglia. Stiamo parlando dell’alchermes. Sono centinaia di anni che ci beviamo un insetto, probabilmente senza saperlo.

Il primo alchermes italiano fu a Firenze

La parola alchermes viene dal sanscrito krmi-ja, evoluto nell’arabo al-qirmiz e nello spagnolo alquermes. Krmi-ja significa

Una bottiglietta di liquore all’alchermes.

“bevanda rossa” da cui derivano i termini latino-medievali cremisi e carminio. I primi impieghi della cocciniglia come colorante sono in Mesopotamia nel II millennio avanti Cristo. Da lì, questo uso della cocciniglia si diffuse poi in Persia, Turchia e Palestina e infine in Europa nell’VIII secolo avanti Cristo. Non è altrettanto semplice individuare il periodo storico nel quale fu inventata la ricetta del noto liquore, ma è certo che in Italia l’alchermes sopraggiunse grazie all’importazione spagnola (popolo che ottenne la ricetta dagli arabi stessi). Nel Bel Paese, la produzione di alchermes è documentata a partire dal Medioevo per opera delle suore dell’Ordine di Santa Maria dei Servi a Firenze. Nel 1743, frate Cosimo Bucelli, direttore dell’Officina di Santa Maria Novella, sempre a Firenze, ufficializzò la ricetta originale tramandata fino ai giorni nostri.

I dolci all’alchermes

Insomma, stiamo parlando di un liquore “storico” che troviamo in dolci tradizionali delle nostre parti come le peschine romagnole e la zuppa inglese. Oppure nello zuccotto fiorentino. O nella rocciata marchigiana. Anche nelle paste chiamate

Peschine romagnole all’alchermes.

“diplomatici”, si usa una bagna di alchermes. E, se vi ricordate, ne abbiamo scritto anche a proposito di un salume: la mortadella di Prato. E poi, non dite che non vi tornano in mente anche alcuni dolci preparati in casa dalle nonne e dalle vecchie zie che, spesso e volentieri, li imbevevano di questo dolcissimo liquore rosso.

Come si prepara l’alchermes?

Come si ottiene il liquore all’alchermes? Gli ingredienti sono: alcol puro, zucchero, acqua, scorza di arancia, acqua di rose e numerose spezie quali cannella, garofano, chiodi di garofano, vaniglia, cardamomo, fiori di anice. Ma ciò che più caratterizza l’alchermes è il colore rosso intenso, dovuto alla cocciniglia il cui corpo essiccato e ridotto in polvere fornisce una sostanza rossa fortemente colorante. E’ un liquore sciropposo, molto dolce, dall’odore gradevole. La gradazione alcolica si aggira tra i 21 e i 32%. Il metodo di preparazione artigianale prevede che le spezie siano messe a macerare in alcool per ottenere la cosiddetta “tintura”, cui verranno aggiunti l’acqua distillata di rose, la scorza d’arancia, lo zucchero e il composto colorante ottenuto con la cocciniglia. Il tutto è mescolato e messo ad affinare in botti di rovere per circa sei mesi. Seguono quindi la filtrazione e l’imbottigliamento, che precedono immediatamente la messa in commercio.

Cocciniglia o sostanze sintetiche?

Oggi, a questa preparazione artigianale, ormai sempre più rara, si sostituisce quella industriale che prevede la sostituzione della cocciniglia con sostanze di origine sintetica (coloranti E122, E124, E132), che devono obbligatoriamente essere elencate nelle etichette dei prodotti poi commercializzati. Uhmmm… siamo sicuri che passare dall’insetto alla chimica sia un passo in avanti?