L’Italia è un Paese dalle tante diversità culturali, dovute al fatto che questa propaggine d’Europa, tuffata dentro il Mediterraneo, ha visto avvicendarsi sul proprio territorio popolazioni provenienti da nord, da est e da sud, creando dei melting pot che poi sono diventati “tradizioni” italiane. Quando parliamo di “tradizione italiana”, sarebbe bene ricordare che queste nostre tradizioni sono, appunto, frutto di stratificazioni culturali, di abitudini, provenienti da popoli diversi nel
corso dei secoli. Così, la cucina siciliana (tanto per rimanere nell’ambito di questo blog) ha fortissime radici e influenze arabe. Qualcosa di simile alla nostra piadina, con nomi diversi e diverse varianti, la potevamo trovare e la troviamo in molte aree del Mediterraneo. Molti formaggi hanno nomi e origini celtiche e ci riportano addirittura a secoli prima di Roma. E via così…
A volte accade che questa commistione di popoli, lingue, culture, cibi e abitudini nello stesso territorio, non avvenga o avvenga in modo molto limitato. Vuoi per la particolarità dei luoghi (valli o montagne isolate; scarse vie di comunicazione); vuoi per casualità o per legittima scelta di alcuni gruppi etnici. Il risultato è che si sviluppano comunità monoculturali che portano la loro specificità all’interno del territorio. Sempre in Sicilia, ad esempio, nel paese di Piana degli Albanesi si parla albanese, lo s’insegna ai bambini e la cartellonistica è bilingue. Così come avviene nel Sud Tirolo italiano, dove la maggioranza della popolazione è germanofona.
Proprio vicino al Sud Tirolo, in Valsugana (la provincia è quella di Trento), esiste una piccola popolazione, anch’essa germanofona ma molto più antica degli attuali tirolesi. Difatti, parla un tedesco arcaico che risale almeno al 1400. Si tratta dei mòcheni. Abitano in una valle che parte dalle fonti del torrente Férsina e scende fin quasi a Pergine Valsugana. Facciamo un po’ di storia: I primi abitanti di questa etnia arrivano in questa vallata fra il 1300 e il 1400, provengono dai territori dell’attuale Germania e sono stati chiamati dai signori di Pergine per sfruttare al meglio i boschi e i pascoli. Sono chiamati “roncadori” da “roncola” uno strumento contadino che serve per rendere lavorabile la terra. Essendo un’area di confine, nel corso del tempo la valle passa di proprietà più volte ma questo non impedisce l’arrivo di altre famiglie germaniche tra il 1500 e il 1600. Ci si era accorti che quelle terre non fornivano solo pascoli ubertosi e buon legname ma erano anche ricche di minerali. Inizia così un’attività di estrazione di rame, argento, piombo, quarzo e fluorite che termina del tutto solo attorno al 1970.
Oggi i circa 1700 mòcheni esistenti continuano a parlare il loro tedesco arcaico e hanno un’economia rispettosa dell’ambiente che li circonda e che si basa su quattro pilastri: il turismo lento e sostenibile; la coltivazione di piccoli frutti (lamponi, more, mirtilli, ribes, ecc.); l’artigianato del legno e l’allevamento di bovini e ovini, soprattutto della capra pezzata mòchena, una razza autoctona non particolarmente produttiva ma che dà un latte molto digeribile, con poco colesterolo e ricco di vitamine e sali minerali. Ovviamente anche la cucina e i cibi mòcheni hanno tratti molto originali. Si può partire dai cuccalar, piccole focacce rotonde che vengono impastate anche con lo scarto della lavorazione della panna e sono ricche di fermenti lattici vivi. Vengono consumate sia come dolce (con i piccoli frutti del bosco) ma anche come stuzzichino salato con salumi e formaggi. La pinza, invece, è una specie di pane al latte cotto sulla brace. I kropfen sono tipo tortelloni ripieni di verza, formaggi e porri; i rufioi, una sorta di ravioli che possono essere riempiti di verza e ricotta affumicata, oppure con patate, formaggi e porri oppure con carne.
Tra gli insaccati si segnala la lucanica, un misto di carni scelte di cavallo e maiale. Molti tipi di formaggi sono posti a
stagionare nelle miniere dalle quali, un tempo, si estraevano i metalli. L’affinamento avviene così a una temperatura costante fra i 7 e i 10 gradi e un tasso di umidità fra il 75 e l’80 per cento. In questo modo le muffe di superficie si sviluppano velocemente mentre la proliferazione dei batteri è contenuta. Il risultato è che si ottengono formaggi morbidi e cremosi con profumo d’erbe di montagna. Tra i dolci, infine, si segnalano lo straboi e la treccia mochena. Il primo, impastato con farina, zucchero, uova e sale con l’aggiunta di grappa o birra, viene realizzato a cerchi concentrici e cotto in olio bollente. E’ servito croccante fuori e morbido dentro, cosparso di zucchero a velo. E’ il dolce antico e tradizionale delle grandi occasioni. La seconda, invece, è stata inventata in anni recenti a Canezza (in territorio mòcheno), dai fratelli Aldo, Luciano e Sergio Osler, panificatori e pasticceri – “ma è basata su un’antica ricetta” – affermavano i tre alcuni anni fa. E’ una pasta lievitata ripiena di mirtilli e crema pasticcera, anche questa croccante fuori e morbida dentro. Evidentemente, la cultura culinaria mòchena è sempre in grado di produrre sorprese e novità. E’ un buon segno per tutti.
Flavio Semprini è un giornalista professionista free-lance. Scrive di sport, enogastronomia, edilizia e turismo e si occupa di uffici stampa e comunicazione per aziende, associazioni ed enti sia pubblici che privati. Ha scritto diversi libri, alcuni sulla cucina romagnola, utilizzando per questi ultimi il doppio pseudonimo di Luigi Gorzelli/Paolo Castini.