Domenica 12 aprile si festeggia la Pasqua. Con il Natale, è la più importante solennità del cristianesimo. Come tante ricorrenze, s’innesta su altre precedenti e dà luogo a sincretismi ancora attuali. Ad esempio, si celebra la domenica successiva alla prima luna piena di primavera. Questo perché la Pasqua cristiana trae origine dalla Pesach, la Pasqua ebraica, in coincidenza della quale sarebbe avvenuta la Passione di Cristo. La Pesach veniva (e viene) celebrata il quattordicesimo giorno del mese di Nissàn, cioè in corrispondenza della luna piena di marzo/aprile.

Coniglietto pasquale e uova nella interpretazione di Bee Felten (unsplash.com).

Perciò, fino al Secondo secolo, i cristiani celebravano la Pasqua il 14 di Nissàn per ricordare la morte di Gesù che, secondo l’evangelista Giovanni, era avvenuta in quel giorno. Nel 325 dopo Cristo il concilio di Nicea, interpretando un passo di San Paolo, decise di celebrare la Resurrezione (e non la morte) di Cristo e stabilì come data della Pasqua la domenica successiva alla prima luna piena di primavera. Nell’Europa settentrionale, questa ricorrenza sostituì le celebrazioni a Eostre, una divinità germanica legata al culto della fertilità e della primavera, il cui simbolo era la lepre, animale estremamente fertile. Da questa dea e da questo simpatico mammifero discende la tradizione del coniglio di Pasqua (Easter Bunny).

Venendo a noi, vi voglio raccontare come la mattina della domenica di Pasqua sia, nella tradizione romagnola, molto particolare. Perlomeno, a casa mia. Il rito pasquale, in realtà, inizia il sabato santo, quando ci si reca in chiesa a far benedire le uova. La domenica mattina, si va a messa prima possibile e a digiuno. Poi, tornati a casa, si apparecchia la tavola per la colazione. La tovaglia deve assolutamente essere bianca, così come i tovaglioli. Sulla tavola, trovano posto le uova benedette dal giorno prima, il salame, la ciambella romagnola, il vino bianco, il caffè e… la pagnotta di Pasqua. Ci si fa il segno della croce e, finalmente, si mangia.

E’ una tradizione che mia madre segue da quando era bambina, appresa da sua mamma Rosa e da sua nonna Giulia. Che a loro volta avevano imparato dalle loro famiglie d’origine. Nessuna di queste era danarosa, anzi… ma la domenica di Pasqua la colazione doveva essere imbandita riccamente. “Per devozione”, come mi ripete ancor oggi mia mamma. Del resto, la pagnotta e la ciambella le preparavano le “azdore” di casa; alle uova ci pensavano le galline; il maiale era stato lavorato a gennaio assieme agli altri contadini del vicinato; il vino veniva dalla piccola vigna di famiglia. Da comprare, restava il caffè… L’alimento più particolare di questa “tavolata” era, senz’altro, la pagnotta pasquale che appariva sul desco quella domenica (oggi i negozi di pasticceria ve la mettono a disposizione diversi giorni prima), e accompagnava i pranzi e cene della famiglia anche nei giorni seguenti, fino a esaurimento. Non era contemplato “scartare” del cibo.

Essendo, questa pagnotta, un dolce della tradizione contadina, ha origini antiche ed è molto semplice da preparare. Potremmo definirlo quasi un “pane addolcito”, giusto arricchito con qualche uvetta. Come sempre in Romagna, la ricetta cambia da provincia a provincia, da vallata a vallata, da paese a paese e da famiglia a famiglia. Quella che vi mettiamo a disposizione, viene dalla Valconca e la dovreste trovare, così come ve la fornisco, senza varianti, nei paesini di Taverna di Montecolombo, Santa Maria del Piano (una frazione di Montescudo) e Fratte di Sassofeltrio.

Ingredienti

Un chilo di farina; sei uova; un bicchiere di olio di semi; un bicchiere di zucchero; una scorza di limone grattugiata; tre cubetti di lievito; anici e uva sultanina quanto basta; latte per impastare quanto basta:

Preparazione

Impastate tutto assieme: farina, uova, latte, olio di semi, zucchero, limone grattugiato, i tre cubetti di lievito che avrete prima sciolti nel latte, anici e uva sultanina. Lavorate il tutto fino a ottenere una morbida consistenza. Versate in uno stampo e infornate a 150 gradi per un’ora circa.