Perché il farro può essere definito il “nonno” di tutti i cereali? Perché alcuni reperti archeologici confermano che questa specie di frumento era già coltivata più di 10mila anni fa durante l’età natufiana (quella natufiana era una cultura seminomade che si trovava nei territori oggi riconducibili, grosso modo, alla Palestina, al Libano, alla Siria e all’Iraq). Da quei luoghi si sarebbe poi diffuso in tutta Europa. Noi italiani ne abbiamo memoria perché Il nostro amico Plinio il Vecchio, morto durante l’eruzione del Vesuvio che distrusse Ercolano e Pompei nel 79 dopo Cristo e che tante volte abbiamo citato in questa rubrica, nella sua Naturalis Historia scrive che era un cibo molto amato dai romani.

Il farro, cibo nazionale dei romani

In effetti, una delle pietanze tipiche della Roma di quei tempi era il puls, una farinata costituita da farro

Semi di Farro piccolo con e senza glume. Foto di Bmk da wikipedia.org. In copertina una foto tratta da pixabay.com.

macinato, intriso a legumi cotti nell’acqua. Il puls rimase sempre una sorta di piatto nazionale anche se, successivamente i romani, grazie alle loro conquiste militari, impararono a conoscere il pane greco e la panificazione. Inoltre, sappiamo che agli albori di Roma, alcune antiche cerimonie nuziali si chiamavano confarreatio. In questo matrimonio la coppia spezzava e mangiava, davanti al sacerdote, un panis farreus (pane di farro) che suggellava la loro unione. Non è che i matrimoni religiosi siano poi cambiati molto.

Farro, quante qualità!

Dal periodo romano fino a tutto il Medioevo, il farro viene coltivato e fa parte delle abitudini alimentari della nostra penisola, prima che la sua coltivazione vada scemando d’importanza venendo soppiantata da quella del grano tenero che è un suo “discendente diretto” e che ha una resa maggiore e minori costi di lavorazione. Oggi viene coltivato, spesso in ambiente biologico, per le sue ormai riconosciute qualità: ha un buon contenuto proteico; è privo di colesterolo; regala energia e favorisce il buon funzionamento dell’intestino grazie all’alto contenuto di fibre. Contiene vitamine A, C e del gruppo B, sali minerali come fosforo, magnesio, potassio e ferro. Ma ciò che rende davvero unico questo cereale è l’elevata quantità di selenio che gli conferisce importanti proprietà antiossidanti. Studi recenti dimostrerebbero, infatti, come il consumo di farro sia associato a una riduzione del rischio di tumori, del declino cognitivo, di malattie cardiovascolari e di problemi alla tiroide. Infine, è uno dei tipi di frumento meno calorici: cento grammi apportano circa 340 chilocalorie. Tutte queste caratteristiche fanno sì che la coltivazione del farro goda di un ritrovato successo.

Farro piccolo, medio e grande

Spighe di farro spelta. Foto di Friedrich Bohringer da wikipedia.org.

Quando si parla di farro, bisognerebbe distinguere tra farro piccolo; farro medio e farro grande, chiamato anche spelta. Il farro piccolo è quello delle coltivazioni più antiche delle quali abbiamo parlato. I suoi semi possono avere o meno il glume (cioè la protezione che circonda il “chicco”) e non hanno una grandissima resa. Il farro medio ha una maggiore produttività e questo gli ha consentito di diffondersi molto velocemente dalla sua zona di origine. A questa specie appartiene la grande maggioranza del farro coltivato in Italia, sia di oggi sia dell’epoca romana. In Italia è coltivato su piccoli appezzamenti soprattutto in Garfagnana, una valle della Toscana settentrionale, dove è all’origine di varie ricette tipiche: minestra di farro, farro con fagioli, torta di farro. Al cereale prodotto nell’Alta Valle del Serchio e tuttora lavorato in impianti molitori di tipo tradizionale, con macine di pietra, è stata riconosciuta dall’Unione Europea l’indicazione geografica protetta Farro della Garfagnana. La spelta, infine, deriva dall’incrocio tra il farro medio e l’Aegilops squarrosa, una graminacea selvatica. Sembra non adattarsi al clima italiano tant’è che molta parte di quello presente oggi sulle nostre tavole proviene dall’Europa centrale e orientale e dalla Francia.

La lavorazione del farro

Per essere gustato, deve essere lavorato con uno o più dei seguenti passaggi:

Decorticatura (o svestitura). Vuol dire che si deve togliere il glume che, come detto, può anche non essere

Foto di Ilona Frey da unsplash.com.

presente nel farro piccolo ma, quando lo è, è piuttosto aderente complicando l’azione della svestitura. Mentre negli altri due tipi di farro, dove è sempre presente, questa protezione è sempre aperta e quindi l’operazione di svestitura è facilitata. Con questa lavorazione è già possibile consumarlo come chicco in zuppe o minestre.

Perlatura (o semi-perlatura). E’ una lavorazione simile a quella eseguita sul riso che graffia la superficie del seme per renderlo più chiaro e ridurre la quantità di fibre.

Macinazione. Ovvero il processo di trasformazione del chicco in farina che può essere utilizzata nella panificazione e nella realizzazione di pasta.

La minestra di farro

Visto che ne abbiamo accennato, per finire vi forniamo una ricetta della zona della Garfagnana, la minestra di farro. Ingredienti per sei persone: 300 grammi di farro; un chilo di patate; mezzo chilo di fagioli; tre foglie di bietola; una fetta di lardo; cipolla; carota; sedano. Procedimento: soffriggere una fetta di lardo con gli aromi, cipolla, carota e sedano tritati. Aggiungere le patate e la bietola sminuzzati, i fagioli (precedentemente ammollati) e rosolare insieme. Aggiungere acqua e portare a cottura come per fare una normale minestra di verdura. Mettere il farro e ultimare la cottura per trenta minuti avendo cura di girare in continuazione. Condire con olio extra vergine di oliva.