Non è la prima volta che in questo blog ci occupiamo di formaggi. Lo abbiamo già fatto con il Parmigiano Reggiano, con la Casciotta di Urbino e quando abbiamo trattato la storia dei celti e la loro particolare bravura nel settore lattiero caseario. Oggi parliamo del Grana Padano, una Dop che, con circa cinque milioni di forme prodotte ogni anno, è il formaggio più venduto in Italia e, con quasi due milioni di forme vendute nel mondo, è anche quello più apprezzato all’estero.

Un trancio di Grana Padano. In copertina, un’immagine tratta da piqsels.com.

L’origine del Grana Padano è molto simile a quella del Parmigiano Reggiano. Se il prezioso cacio che viene preparato esclusivamente nelle province di Parma, Reggio Emilia, Modena, Bologna (a sinistra del fiume Reno) e Mantova (a destra del Po) è nato dalla perizia medievale di monaci cistercensi e benedettini di quei luoghi, così, secondo la tradizione, il Grana Padano deve la sua creazione ai medievali monaci cistercensi dell’Abbazia di Chiaravalle, che oggi è “inglobata” nella città di Milano tra i quartieri Vigentino e Rogoredo. Altre fonti sostengono che il Grana, come il Parmigiano, fosse stato preparato per la prima volta in un’altra abbazia, chiamata sempre “Chiaravalle” che però si trovava tra Piacenza e Fidenza (dunque nei luoghi deputati al Parmigiano). Non è dato sapere quale sia la verità perché, in assenza di fonti certe, storia e leggenda sono inevitabilmente destinate a mescolarsi. Ciò che conta per noi è che questo bene di Dio sia disponibile per essere gustato in purezza o per arricchire i nostri piatti.

Ma come si fa il Grana Padano? Innanzitutto, il latte crudo deve arrivare da allevamenti presenti nelle zone previste dal disciplinare: trentadue province divise fra Emilia-Romagna, Lombardia, Piemonte e Trentino Alto Adige (dove questo cacio prende il nome di Trentingrana). Anche l’alimentazione delle vacche e delle manze deve provenire dalle zone di origine del Grana. Questo latte viene decremato con un processo di affioramento naturale. Il latte così trattato viene posto all’interno di speciali caldaie in rame a forma di campana rovesciata, a doppio fondo. A questo punto si aggiunge il siero prodotto dalle lavorazioni casearie del giorno precedente, all’interno del quale si sono sviluppati quei batteri lattici che lo rendono un perfetto starter per avviare la trasformazione del latte in formaggio. Il latte, con il siero addizionato, è portato alla temperatura di 31-33° gradi e gli viene aggiunto il caglio di vitello cioè un caglio composto di chimosina per più del 70% (il caglio che contiene meno del 20% di chimosina è chiamato caglio di bovino adulto mentre si parla di caglio misto se ha concentrazioni intermedie). La chimosina, o rennina, è un enzima necessario alla digestione della caseina del latte. La sua presenza in quantità così grandi spiega l’ottima digeribilità del Grana Padano.

Un carpaccio in insalata e Grana Padano. Foto di Petre Barlea da Pixabay.

La cagliata viene rotta tramite un apposito strumento che si chiama spino, mentre il riscaldamento del composto e la cottura continuano fino al raggiungimento della temperatura di 53°-56°. A questo punto il processo di riscaldamento viene interrotto e la cottura ultimata. I granuli di cagliata si depositano sul fondo e lì sono lasciati riposare, sotto il siero, per 30/70 minuti in modo che si aggreghino dando origine a un’unica forma. Poi, con una pala di legno e uno schiavino (una tela di lino quadrata) si recupera e si raccoglie la massa caseosa dal fondo della caldaia e la si tagliata in due parti uguali, in modo da dare origine a due “forme gemelle“. Ognuna delle due forme viene avvolta in un telo di lino, estratta dalla caldaia e posta su dei tavoli dove viene racchiusa in una fascera ben stretta e posta sotto la leggera pressione di un disco. Dopo dodici ore dalla messa in forma, tra la fascera e la forma viene inserita un’altra fascia di materiale plastico che presenta in rilievo i marchi di origine. Viene poi aggiunta anche una placca di caseina che diventerà parte della crosta. Questa placca riporta il codice identificativo che rende il prodotto tracciabile. Trascorse 24 ore, l’iniziale fascera è sostituita con una di acciaio, forata e leggermente bombata, in modo che il formaggio acquisisca la sua forma caratteristica. Dopo altri due giorni, le forme vengono immerse in una soluzione di acqua e sale per la salatura. Questo passaggio può durare dai 14 ai 30 giorni. Terminata la salatura, le forme sono trasportate nel locale di stufatura – o “camera calda” – dove si asciugheranno per alcune ore. Finito quest’ultimo processo non resta che trasferire le forme nel magazzino di stagionatura, dove rimarranno per un minimo di nove mesi.

Questa lavorazione così accurata e particolare, nonché la stagionatura, consentono la diminuzione dei lipidi, l’eliminazione del lattosio, l’apporto di proteine con i nove aminoacidi essenziali, la massima biodisponibilità di minerali e vitamine e, come dicevamo, un’alta digeribilità. Cento grammi di Grana Padano contano 398 chilocalorie; 33 grammi di proteine; 32 grammi d’acqua; 29 grammi di grassi e 6 di carboidrati. Si tratta di ottimi valori nutrizionali. In sintesi, il Grana Padano porta una grande quantità di nutrienti essenziali per la salute, difficilmente riscontrabili in altri alimenti a parità di calorie, tutti altamente biodisponibili, cioè in grado di essere assimilati dall’organismo. Per questo, nelle giuste quantità e all’interno di un’equilibrata e varia alimentazione, può essere inserito in ogni tipo di dieta ed è indicato anche per chi ha problemi d’ipertensione, ipercolesterolemia e ipertrigliceridemia. Insomma, che siano stati i monaci cistercensi o meno, chi ha affinato la lavorazione di questo formaggio, ci ha fatto un gran bel regalo.