Il tarassaco, una verdura che fiorisce proprio in questo periodo e il cui nome scientifico è Taraxacum officinale, è forse la pianta che ha più nomi comuni al mondo. Solo in Italia, a seconda delle regioni o provincie nelle quali ci si trovi, può essere chiamata dente di leone, dente di cane, soffione, nonnino, cicoria selvatica, cicoria asinina, grugno di porco, ingrassaporci, brusaoci, insalata di porci, pisciacane, lappa, missinina, girasole dei prati, erba del porco. Da noi in Romagna, come in diversi altri luoghi, la chiamiamo piscialetto. Ovviamente, il fatto che abbia delle straordinarie proprietà diuretiche c’entra qualcosa Il nome dente di leone è quello con il quale è più conosciuto fuori dai nostri confini: diente de leon in Spagna; dente de leao in Portogallo; dandelion in Inghilterra e via così. I francesi, in questo caso, la pensano come noi romagnoli e lo chiamano pisse-en-lit.

Il nome scientifico, invece, ci fa riflettere sulle sue qualità benefiche. La pianta fresca del tarassaco, la sua foglia in

L’infruttescenza del tarassaco. (foto di Gabriel Rnaldi da wikipedia.org). In copertina, Fiori di tarassaco (commons.wikimedia.org).

particolare, contiene una serie di sostanze bioattive. Fra queste possiamo ricordare i flavonoidi, che hanno proprietà antiossidanti e di riparazione dei danni cellulari utili, dunque, per prevenire malattie cardiovascolari e degenerative. Ma possiamo anche citare le vitamine B1 e B2 che convertono il glucosio in energia; la vitamina C che alza le barriere del sistema immunitario e aiuta l’organismo a prevenire il rischio di tumori e neutralizza i radicali liberi e, infine, la vitamina E utile anch’essa al rinnovo cellulare.

Per questo il tarassaco ha diverse indicazioni. Abbiamo capito che è un potente diuretico ma, oltre a ciò, esercita un effetto protettivo sul fegato; stimola la produzione della bile e facilita lo svuotamento della cistifellea. L’aumento della produzione di bile favorisce, a sua volta, i movimenti intestinali. Nella medicina popolare viene utilizzato anche per trattare altri tipi di disturbi, quali emorroidi, reumatismi, spasmi e infiammazioni. Queste sue proprietà terapeutiche erano conosciute fin dal medioevo quando gli erboristi di quel tempo iniziarono a chiamarlo tarassaco rifacendosi, pare, ai sostantivi greci tarakè “scompiglio” e àkos “rimedio“. Per loro era un’erba capace di rimettere in ordine tutto l’organismo. Un’altra versione racconta, invece, che la parola tarassaco arrivi dai termini arabi tarak e sahha (fare pipì).

Foglie di tarassaco lavate per preparare un’insalata (foto di Betty&Giò da wikipedia.org).

Cresce spontaneamente nelle zone di pianura fino ai duemila metri d’altitudine e in alcuni casi con carattere infestante. È una pianta tipica del clima temperato e, anche se per crescere non ha bisogno di terreni e di esposizioni particolari, predilige maggiormente un suolo sciolto e gli spazi aperti, soleggiati o a mezzombra. In Italia cresce praticamente ovunque e lo si può trovare facilmente nei prati, lungo i sentieri e ai bordi delle strade.

Del tarassaco non si butta via niente (è un po’ il maiale delle verdure, in questo senso). In cucina, i suoi usi sono molteplici: può far parte di un’insalata con altre verdure (ma c’è chi si fa insalate di solo tarassaco). In diverse zone del Piemonte è tradizione consumarlo con le uova sode durante le scampagnate di Pasquetta. In Liguria è utilizzato insieme con altre erbe per il ripieno dei pansoti. Anche i petali dei fiori possono contribuire a dare sapore e colore a insalate miste. I boccioli sono apprezzabili se preparati sott’olio e sotto aceto possono sostituire i capperi. I fiori si possono preparare in pastella e quindi friggere. Le tenere rosette basali si possono consumare sia lessate e poi condite con olio extravergine di oliva; sia saltate in padella con aglio. In Carnia le stesse rosette basali vengono consumate crude, condite con guanciale soffritto con pochissimo olio e “spento” a fine cottura con abbondante aceto.

I fiori sono inoltre utilizzati per la preparazione dello sciroppo di tarassaco che in alcuni territori viene anche

Sciroppo di tarassaco (foto di Sladjana 70 da wikipedia.org).

chiamato miele di tarassaco. Si ottiene dalla bollitura in acqua dei fiori, con aggiunta di zucchero e limone. Viene utilizzato come bevanda, come dolcificante, ma anche come rimedio per il mal di gola o, ça va sans dire, come diuretico. In Friuli-Venezia Giulia e in Sudtirolo è riconosciuto come prodotto agroalimentare tradizionale (PAT). Infine, con le radici tostate si può preparare una sorta di caffè, un po’ più amaro ma con le stesse caratteristiche digestive dell’originale. Durante la seconda guerra mondiale, quando in Italia non arrivavano più i caffè esteri, le massaie nostrane avevano imparato a seccare, tostare e polverizzare le radici del tarassaco assieme ad altri rizomi e a servirlo al posto del caffè. E c’era chi, invece, usava la cicoria. Erano prodotti nostrani e poveri che, in qualche modo, supplivano alla mancanza del prodotto originale. Anche oggi è possibile trovare, in negozi e supermercati ben forniti, il “caffè di tarassaco”. Peccato che oggi costi molto di più del caffè originale.