Il pane accompagna la storia dell’uomo dal momento che  inizia a coltivare cereali circa nove mila anni fa fino ai nostri giorni.

L’uomo si cibò dei chicchi interi crudi, cotti o macinati con pietre per lunghi periodi. Il passaggio successivo avvenne quando la farina, di grana grossa e non pura, fu unita all’acqua per avere un impasto che messo in vicinanza del fuoco dava il pane. Furono gli egiziani a scoprire la fermentazione: notarono che lasciando riposare l’impasto per il giorno dopo si otteneva un prodotto di cottura più soffice e digeribile. L’uso del pane è raccontato nella Bibbia. Gli antichi Ebrei lo consumavano già nel 2000 a.C. e, in ricordo del pane preparato in tutta fretta la notte della fuga dall’Egitto, mangiano pane azzimo cioè cotto senza lievitazione. La prima testimonianza scritta, dove si parla di pane e di birra, la ritroviamo nel codice dì Hammurabi, un sovrano della prima dinastia di Babilonia, vissuto intorno alla metà del 1.700 a.C.

Nell’antica Grecia si conoscevano decine di tipi di pane a dimostrazione del livello culturale aggiunto da questa popolazione anche in tema di cucina. I greci divennero ottimi panificatori, aggiunsero alle ricette di base ingredienti come: latte, olio, formaggio, erbe aromatiche e miele.  Furono anche i primi a preparare il pane di notte.

La preghiera più importante per i cristiani invoca il padre e recita: “dacci oggi il nostro pane quotidiano”. Uno dei miracoli di Gesù che ha valicato i secoli, fu la moltiplicazione dei pani e dei pesci. Nella liturgia il sacramento dell’eucarestia si basa sulla condivisione di pane e vino a memoria dell’ultima cena di Gesù Cristo.

Come in tutte le grandi civiltà mediterranee anche in quella romana, il significato simbolico del pane era alquanto rilevante. Nella Roma dei re facevano la polenta di farro, la celebre “puls“, vero piatto nazionale dei Romani. In seguito impararono a fare il pane, che entrò nell’uso quotidiano soltanto verso la fine del periodo della repubblica. Stando allo storico Plinio, la sua cottura fu introdotta nel 168 a. C. ad opera di alcuni schiavi catturati in Macedonia.

I Romani dell’età repubblicana, consapevoli dell’importanza del pane, delegarono alla magistratura degli edili il controllo dei 400  forni pubblici perché la lavorazione e la vendita avvenissero secondo le modalità di legge.

Nel periodo dell’Impero il pane era l’alimento base per gran parte della popolazione e bisognava assicurarlo a tutti. Per questo vigeva una specifica legislazione la  quale  stabiliva il pane di frumento più sano e preferibile a quello ottenuto dagli altri impasti di cereali in uso. La legge sosteneva che era consentito acquistare frumento in pubblici granai ad un prezzo inferiore a quello di mercato. La prima bottega di fornaio privata e quindi  non soggetta al controllo dell’Impero apri nel 15 a.C.  Col termine “cumpanaticum” si indicava ogni preparazione che poteva accompagnarsi al pane, sottolineando così il suo ruolo primario che ha avuto nell’alimentazione.

Si dice che nell’antica Roma gli fu dedicato il nome di una via  che ancora oggi porta lo stesso nome di allora:  Via Panisperna. In questa via c’era il Regio Istituto di Fisica dove maturò gli studi Enrico Fermi, ma questa è un’altra storia.

Già dal tempo degli Egizi il pane assunse un valore non solo alimentare ma di ricchezza e controllo politico sulla popolazione. I romani più che i greci ne hanno fatto buon uso tanto che è diventato proverbiale il motto: «panem et circenses» ovvero cibo e divertimenti,  che lo scrittore romano Giovenale affibbiò agli imperatori romani come mezzo per tenere a bada il popolo.

Reperti archeologici ci dicono che l’uso di fare pani o focacce era  tradizione  dalle civiltà centroamericane del periodo precolombiano e in Asia. Il consumo e la cultura del pane ebbero un periodo di decadenza con la caduta dell’Impero Romano e con l’avvento delle civiltà barbariche. La tradizione del pane non si interruppe mai, grazie soprattutto ai monasteri che mantennero la presenza dei forni.

Ci fu poi l’avvento della civiltà feudale nella quale i signori e i vassalli capirono l’importanza economica e politica del controllo dei raccolti, delle farine, dei mulini e quindi del pane tanto che presto imposero il monopolio delle loro strutture di raccolta, macinazione e cottura del pane derivato dal grano. Il popolo continuò per secoli a produrre in casa pane di minore qualità, ma pur sempre commestibile, fatto  con orzo, avena, miglio e sorgo, cotti o tra le braci del camino. I signori feudatari non furono così scaltri nel mantenere il popolo a  “panem et circenses” come gli imperatori romani e scoppiarono diverse rivolte popolari in occasioni di carestie di grano. Con l’epoca comunale  i fornai tornarono a essere numerosi e ben considerati nella scala sociale degli artigiani: venne fondata la loro corporazione spesso in associazione coi mugnai.

Nel Rinascimento ogni categoria sociale aveva a disposizione il suo pane esclusivo, e non per modo di dire, c’erano il pane del papa e quello del re, il pane del cavaliere e quello dello scudiero e così via elencando.

Ancora in età moderna, il Manzoni ci riporta nella Milano del ‘600 con  l’assalto al  “Forno delle Grucce” riportato dettagliatamente ne “I Promessi Sposi”. Nel XIX secolo il forno venne rimesso a nuovo e il proprietario Ambrogio Valentini, grato allo scrittore per la celebrità che aveva dato alla bottega con il suo romanzo, gli inviò alla vigilia di Natale del 1870 un omaggio di dolci accompagnati da una lettera di belle parole. Alessandro Manzoni rispose altrettanto cordialmente:  “solleticato voluttuosamente con un vario e squisito saggio  nella gola e nella vanità, due passioni che crescono con gli anni, presenta i più vivi e sinceri ringraziamenti”. La lettera  con l’autografo manzoniano rimase in bella vista dei clienti fino al 1919 quando la bottega cessò la sua attività.  La stessa rivoluzione francese ha un risvolto dovuto a carenza di pane. È famosa, ma forse inventata negli ambienti rivoluzionari, la frase che avrebbe pronunciato la regina Maria Antonietta vedendo davanti al palazzo reale una folla inferocita di parigini che chiedeva pane: «Se non hanno pane, dategli delle brioches». I parigini non dovettero ricevere delle brioches e i due regnanti di Francia furono passati alla ghigliottina.

Ancora nella seconda metà dell’Ottocento, il pane venne  preso come mezzo di un odiato e impopolare esborso fiscale la cosiddetta “tassa sul macinato”, introdotta nel 1868 dal ministro delle Finanze Quintino Sella, per far fronte alle immani spese del giovane governo dell’unità di Italia.

Il pane ha un posto fondamentale nella tradizione mediterranea come componente primario dell’alimentazione, al punto che il termine stesso può diventare sinonimo di cibo o di nutrimento, non necessariamente fisico. Dante nel Paradiso nomina il  “pan de li angeli” per riferirsi al nutrimento spirituale dell’anima.